È finito il viaggio del Papa in Terra Santa. E in Medio Oriente è l'analisi politica a dominare nel bilancio tracciato dei quotidiani. Che intrecciano la lettura delle giornate di Benedetto XVI con l'altro appuntamento molto atteso di questi giorni: l'incontro che lunedì si svolgerà a Washington tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente americano Barack Obama.
È finito il viaggio del Papa in Terra Santa. E in Medio Oriente è l’analisi politica a dominare nel bilancio tracciato dei quotidiani. Che intrecciano la lettura delle giornate di Benedetto XVI con l’altro appuntamento molto atteso di questi giorni: l’incontro che lunedì si svolgerà a Washington tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente americano Barack Obama.
Partiamo da Israele: le letture dei quotidiani sono abbastanza concordi nel lamentare uno «sbilanciamento» da parte palestinese nelle parole pronunciate dal Papa a Betlemme. Da una testata all’altra cambiano i toni, ma la sostanza rimane la stessa. Rilanciamo qui l’editoriale del Jerusalem Post, probabilmente il quotidiano che ha seguito con meno pregiudizi questa visita. Eppure dice senza mezzi termini: il Papa non ha capito questo conflitto. Anche per noi – che ovviamente non siamo d’accordo con questa analisi – è una lettura interessante. Perché alla fine non rimprovera più di tanto a Benedetto XVI ciò che ha detto sul Muro o sulla questione dei profughi. L’obiezione è – ancora una volta – su ciò che non ha detto, e cioè la mancanza di una denuncia esplicita dell’Iran. Non basta che il Papa dica – come ha fatto con estrema chiarezza a Betlemme – che ogni forma di violenza è inaccettabile anche se utilizzata per rivendicare diritti giusti. No: oggi per l’israeliano medio tutto questo è inutile se non si dice che l’Iran è il più grande pericolo del mondo. A me sembra una forma di strabismo: l’occhio alla fine cade sempre e solo lì. Certo, il nucleare di Teheran inquieta, e conosciamo tutti i legami che l’Iran ha intessuto con Hamas ed Hezbollah. Ma è davvero questa l’unica causa dei problemi di oggi in Medio Oriente? «È l’Iran l’ostacolo alla pace, rimuoviamo quello e tutto andrà a posto». Lo abbiamo già sentito dire agli israeliani per Arafat. E poi per Saddam Hussein. Entrambi non ci sono più: si è visto com’è andata. Non ci sono scorciatoie per la pace; come ha indicato il Papa, bisogna fare i conti con i problemi concreti. Solo così si rimuoverà alla radice anche la questione della longa manus dell’Iran in Medio Oriente.
All’opposto di Israele in queste ore il mondo arabo gongola: rilanciamo i commenti di Jordan Times e del saudita Arab News, che leggono le parole di Benedetto XVI come un ulteriore segnale dell’isolamento di Israele. E sostengono che anche l’incontro di lunedì alla Casa Bianca lo confermerà. Un’euforia comprensibile, soprattutto perché viene da due Paesi che in questi ultimi giorni si sono mossi per rilanciare il piano di pace arabo, a cui Barack Obama guarda con interesse. Però, anche qui, l’atteggiamento è speculare a quello del Jerusalem Post: il problema è solo il governo di destra israeliano, che si rifiuta di riconoscere i diritti ai palestinesi. Rimosso quello andrà tutto a posto. Sappiamo che anche questo non è vero. Mercoledì a Betlemme abbiamo visto il presidente Abu Mazen in grande spolvero e abbiamo fatto tutti finta di non sapere che il suo mandato è scaduto, che l’Autorità Nazionale Palestinese da mesi non ha un governo, che il dialogo tra le fazioni si è arenato un’altra volta. Il Papa in questi giorni ha ridato speranze ai palestinesi. Ma sono quelle stesse speranze che i politici palestinesi da tempo fanno a gara a distruggere.
Infine un’ultima annotazione – al termine di questo viaggio – la merita Arut Sheva, l’agenzia vicina al mondo dei coloni, a cui va la palma del livore contro il Papa: nemmeno sui siti vicini ad Hamas abbiamo visto tanto odio. Al momento della partenza per Roma il saluto a Benedetto XVI aveva un titolo surreale: «Il Papa compiace i musulmani palestinesi e delude cristiani ed ebrei». Sostiene che i cristiani della Galilea sono rimasti delusi per il fatto che l’itinerario del Papa non ha toccato il lago di Tiberiade (un fatto, ovviamente, previsto nel programma). Dice che alla Messa di Gerusalemme c’erano «appena 3 mila fedeli, meno degli agenti della sicurezza». E volutamente tace sui 40 mila della Messa a Nazaret. Dipinge il Vaticano come un’entità interessata ad ottenere solo delle proprietà a Gerusalemme. Se questo è il loro modo di informare su un fatto come la visita del Papa, c’è ancora da stupirsi di certi comportamenti dei coloni nei Territori? E quando coloro che in Italia si dicono amici di Israele cominceranno a stigmatizzare anche queste voci?
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