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Quattro atleti a Pechino

22/05/2009  |  Roma
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Quattro atleti a Pechino

Inshallah Beijing!, documentario di Francesco Cannito e Luca Cusani, scritto con Michela Sechi, racconta la vicenda degli atleti palestinesi che hanno preso parte alle ultime Olimpiadi. La pellicola ha vinto la sezionepalestinese dell'Al Jazeera International Documentary Film Festival e ha partecipato con successo anche al Tekfestival di Roma e al DocumentaMadrid. Fra poco sarà in concorso alla Festa del documentario "Hai visto mai?", di Siena, dove sarà proiettato domenica 31 maggio, per poi entrare prossimamente nei circuiti di distribuzione.


«Se Dio vuole, Pechino!». E infatti è stata un’avventura che, per molti tratti, deve aver per forza potuto contare sull’appoggio divino, quella della squadra palestinese alle Olimpiadi 2008 raccontata da Francesco Cannito e Luca Cusani in Inshallah Beijing!. Il documentario, scritto insieme a Michela Sechi, ha vinto la sezione palestinese dell’Al Jazeera International Documentary Film Festival e ha partecipato con successo anche al Tekfestival di Roma e al DocumentaMadrid. Fra poco sarà in concorso anche alla Festa del Documentario Hai visto mai? di Siena, dove sarà proiettato domenica 31 maggio, per poi entrare prossimamente nei circuiti di distribuzione.

«Il progetto di questo lavoro – racconta a Terrasanta.net Francesco Cannito – è nato da una coincidenza. A Luca era venuta l’idea di raccontare la spedizione olimpica dei palestinesi. In realtà non sapeva nemmeno se effettivamente esistesse una squadra di atletica. Ma quando lui me ne ha parlato per la prima volta, tornavo dai Territori, dove avevo appena finito un documentario (Water Not Included – ndr), e io e Michela avevamo un po’ di contatti. Abbiamo cominciato così».

Naturalmente, continua Cannito, la realizzazione del film non è stata affatto semplice: «Dopo la fase di pre-produzione siamo partiti per Gerusalemme prima e per Gaza poi. È stato complicato, per via dei permessi, dei visti, e anche per le fatiche nelle quali si è dovuto districare il Comitato olimpico palestinese lavorando alla costituzione della squadra da inviare a Pechino».

Il documentario racconta passo dopo passo la strada dei quattro atleti, il marciatore Nader, la velocista Gharid e i nuotatori Zakia e Hamza, dalle loro cittadine di origine fino ai Giochi olimpici cinesi. Una strada piena di ostacoli. «Strutturali, innanzitutto: agli sportivi palestinesi, anche a quelli che noi definiremmo professionisti, come Nader, che ha 28 anni e corre da 10, manca ogni tipo di attrezzatura e di struttura di supporto. Le scarpe, per esempio: Gharid non ne possedeva un paio chiodato da pista, e d’altra parte a Gerico, dove vive, non c’è una pista in tartan dove poterle indossare. Hamza e Zakia non hanno ottenuto il permesso di allenarsi in una piscina olimpica israeliana, e dato che nei Territori non ne esiste nessuna, si sono dovuti arrangiare in una più piccola, 12 metri appena, fino a che non sono arrivati in Cina». E così i due nuotatori hanno debuttato in una piscina vera da 50 metri solo un mese prima dell’inizio delle gare, quando è iniziato il cosiddetto training camp, l’ultima fase dell’allenamento preolimpico, che si è tenuto a Canton.

Quindi, le riprese sono proseguite in Estremo Oriente. Racconta ancora Cannito: «Quella di Canton è stata un’esperienza davvero particolare per la delegazione palestinese: nessuno era andato mai così lontano, solo Nader aveva gareggiato qualche volta in Iran o in Bahrein, ma un cambio culturale di quel tipo era una novità assoluta. Tanto che fino all’ultimo c’è stato persino il rischio di sbagliare aereo: inizialmente tutti avevano comprato biglietti per Pechino, siamo stati noi a spiegargli che in realtà la destinazione era da tutt’altra parte». Duemila chilometri più a sud, per la precisione. «E anche da punto di vista sportivo è stata una rivoluzione: loro, esordienti assoluti a questi livelli, si sono ritrovati affidati ad allenatori cinesi professionisti e dotati di ogni struttura».

I risultati sportivi, alla fine, sono stati come nelle aspettative: mediocri. Nessuno dei quattro atleti ha superato le batterie, anche se Gharid ha segnato il record nazionale sui 100 metri. Ma l’obiettivo principale è stato raggiunto lo stesso. La Palestina, le sue Olimpiadi le ha vinte il giorno della cerimonia inaugurale: «Veder sfilare la loro bandiera in mezzo a tutte le altre; stare, per loro che non possono ancora chiamarsi "nazione", in mezzo a tutte le nazioni del mondo, è stata la soddisfazione più grande». Il documentario si chiude proprio in Palestina, nella casa di Gharid, in mezzo ai suoi parenti e agli amici incollati davanti alla tivù per la sfilata di apertura. Tutti a vedere la loro piccola campionessa, una ragazza nemmeno diciottenne, e la loro bandiera che sventola pacifica insieme a quella israeliana, nello stesso stadio. Con la speranza che, un giorno, questa convivenza non si realizzi solo sotto il fuoco di Olimpia.

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