La Messa che il Papa ha celebrato questo pomeriggio, 12 maggio, nella Valle di Josafat, a Gerusalemme, ha mobilitato la comunità cristiana locale, che ha curato con particolare attenzione la preparazione liturgica, anche se le difficoltà della sicurezza hanno probabilmente dissuaso una larga fetta di cristiani locali dal partecipare alla celebrazione. I frati minori della Custodia sono stati i veri registi dell'evento. Nel suo saluto al Papa il patriarca latino di Gerusalemme ha elencato alcune delle «agonie» che toccano oggi la società palestinese e israeliana e Benedetto XVI, nella sua omelia, ha incoraggiato i fedeli di Terra Santa a perseverare nelle difficoltà.
Una lunga e faticosa giornata. Ma alla fine la gioia ha prevalso sulla stanchezza. Fin dalla mattinata i primi fedeli hanno iniziato ad avvicinarsi alla Valle del Cedron, ai piedi dell’orto del Getsemani, per la Messa celebrata nel pomeriggio, alle 16.30, da Benedetto XVI. Un ingresso lento, reso difficoltoso dalla sicurezza israeliana, che ha controllato meticolosamente ogni partecipante e ha dispiegato ingenti forze tutto intorno alla valle e al Getsemani. Nessun incidente, comunque, tra la folla in fila sotto il sole di mezzogiorno. Solo qualche malore per il caldo e la stanchezza.
Alla fine, dopo ore di attesa (trascorse pregando e cantando) l’esplosione di gioia alla vista della «papamobile» ha ripagato i fedeli locali e i molti pellegrini venuti da tutto il mondo per vivere con Benedetto XVI questa celebrazione in un luogo speciale come Gerusalemme. Il Papa ha percorso le due ali di folla benedicendo e sorridendo.
La Messa del Santo Padre ha mobilitato la comunità cristiana locale, che ha curato con particolare attenzione la preparazione liturgica, anche se le difficoltà della sicurezza hanno probabilmente dissuaso una larga fetta di cristiani locali dal partecipare alla celebrazione. Il coro dell’istituto musicale Magnificat, della Custodia di Terra Santa, ha accompagnato tutta la celebrazione, mentre gli scout si sono prodigati nel servizio d’ordine interno. I frati minori della Custodia (il luogo della Valle di Josafat dove si è svolta la celebrazione appartiene al santuario del Getsemani, affidato ai francescani) sono stati i veri registi dell’evento, curando ogni dettaglio:dagli inviti distribuiti nelle parrocchie ai sussidi liturgici in sei lingue.
Al termine della lunga processione d’ingresso (presenti gli ordinari cattolici di Terra Santa e numerosi vescovi) il patriarca latino di Gerusalemme ha accolto il Santo Padre: «La Chiesa di Gerusalemme l’accoglie con fervore in questa città dove Gesù Cristo fu accolto dalla folla al grido di “Osanna nell’alto dei cieli! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” (Mt 21,9). Benvenuto nella città dove Gesù Cristo riportò la vittoria sul peccato e sulla morte e ottenne la salvezza per coloro che hanno fede in lui. Qui, con Lei, la Chiesa prega e veglia amorosamente su questi luoghi dove Nostro Signore ha compiuto l’opera meravigliosa della nostra redenzione. Questi luoghi sono i testimoni del passato e la verità della nostra vita presente. Solamente ad alcuni metri da qui, Gesù disse ai suoi discepoli : “Restate qui e vegliate con me” (Mt 26,38). Ma loro hanno chiuso gli occhi, senza curarsi affatto di Gesù, in agonia un po’ più lontano».
Il patriarca ha poi elencato alcune delle «agonie» che toccano oggi la società palestinese e israeliana: «Assistiamo da una parte all’agonia del popolo palestinese, che sogna di vivere in uno Stato palestinese libero e indipendente, ma non ci arriva; e assistiamo dall’altra parte all’agonia di un popolo israeliano, che sogna una vita normale nella pace e nella sicurezza ma, nonostante la sua potenza mediatica e militare, non ci arriva». E ancora: «Su questo Monte degli Olivi, Gesù pianse invano su Gerusalemme. Oggi, Egli continua a piangere con i rifugiati senza speranza di ritorno, con le vedove il cui marito è stato vittima di violenza, e con le numerose famiglie di questa città che tutti i giorni vedono le loro case demolite col pretesto che esse sono state “costruite illegalmente”, allorquando la situazione generale tutta intera è illegale e non riceve soluzione».
Il patriarca Twal ha poi toccato il delicato tema dell’occupazione e dell’emigrazione: «Lei ha davanti un piccolo gregge, e che ancora si riduce a causa dell’emigrazione, una emigrazione largamente dovuta agli effetti di una occupazione ingiusta, con l’accompagnamento di umiliazione, di violenza e di odio. Ma noi sappiamo che “questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5,4) e che la fede ci rende capaci di vedere e di riconoscere Gesù Cristo in ogni persona. Con Gesù e in Gesù, noi possiamo gustare qui e ora la pace che il mondo non può né dare né togliere dai nostri cuori. Questa pace significa serenità, fede, spirito di accoglienza e gioia di vivere e di lavorare in questa terra».
Particolarmente attesa l’omelia del Papa, specie dai cristiani locali che spesso sono sfiduciati a causa della situazione sociale e politica del Paese. Per loro il Papa ha avuto una parola chiara di conforto: «Ci siamo raccolti qui sotto il monte degli Ulivi, dove nostro Signore pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa potesse conoscere “la via della pace” (cfr Lc 19,42), qui donde egli tornò al Padre, dando la sua ultima benedizione terrena ai suoi discepoli e a noi. Accogliamo oggi questa benedizione. Egli la dona in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle, che siete collegati in una ininterrotta linea con quei primi discepoli che incontrarono il Signore Risorto nello spezzare il pane, che sperimentarono l’effusione dello Spirito Santo nella “stanza al piano superiore”, che furono convertiti dalla predicazione di San Pietro e degli altri apostoli».
«Trovandomi qui davanti a voi oggi – ha proseguito il Papa – desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre. Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa».
Particolarmente intenso il passaggio dedicato alla «vocazione» di Gerusalemme: «Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, musulmani e cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una “città della pace” per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, “una voce che parla di pace” ( cf. Sl 85,8)!».
Già dopo la distribuzione della comunione alcuni fedeli, spossati dalla lunga giornata, hanno cominciato a guadagnare l’uscita. Molti, dopo ore sotto il sole in attesa del Papa, hanno dovuto sobbarcarsi una lunghissima passeggiata a piedi per rientrare nelle case o negli alberghi. Il traffico è rimasto bloccato fino a tardi. Impossibile trovare un taxi o un mezzo pubblico.