L'aereo che domattina porterà Benedetto XVI a Tel Aviv è pronto. E il viaggio del Pontefice in Giordania quasi terminato, con la visita al sito del battesimo di Gesù a Betania Oltre il Giordano nella torrida conca del Mar Morto, si lascia alle spalle molti segni positivi, semi di speranza, mani tese di amicizia, specie con il mondo islamico. Il nostro inviato ad Amman ci propone alcune delle immagini e riflessioni colte durante la tappa giordana del pellegrinaggio papale in Terra Santa.
L’aereo che domattina porterà Benedetto XVI a Tel Aviv è pronto. E il viaggio del Pontefice in Giordania quasi terminato, con la visita al sito del battesimo di Gesù a Betania Oltre il Giordano nella torrida conca del Mar Morto, si lascia alle spalle molti segni positivi, semi di speranza, mani tese di amicizia, specie con il mondo islamico.
La Giordania laica di re Abdallah II puntava sul viaggio anche in chiave economica e sembra aver centrato il bersaglio: non una sbavatura nel servizio di sicurezza, militari in assetto di guerra in ogni punto del percorso del Papa e, sempre, massima gentilezza con i giornalisti. Discretamente invitati, tra l’altro, dall’organizzazione a tour nelle località turistiche giordane (di fianco all’ufficio stampa è stata attiva in questi giorni una hall con abbondanza di materiali promozionali sui siti turistici).
Alcune immagini vive rimangono impresse di questi giorni in Giordania: per prima quella del canto del muezzin, che ti accompagna sempre qui e che mi ha svegliato la prima notte, ad ammonire che non sei più in Europa e che la realtà della Chiesa qui è minoranza. E, pensando ai cristiani locali, molte altre immagini: quelle di gioia, che si tagliava con il coltello ad esempio nella cattedrale melchita, quando sabato 9 Benedetto XVI ha incontrato I religiosi e i rappresentanti dei movimenti. Una macchia azzurra nella chiesa erano le suore del Verbo Incarnato. Tutte giovanissime, che si sono comportate da giovanissime: occhi lucidi, urla, mani tese a mazzi al passaggio del pontefice, foto a profusione con le macchine fotografiche digitali, bandiere sventolate con vigore per farsi vedere (bandiere dell’Argentina, dove la congregazione ha origine, della Giordania, dove è presente un monastero, e dell’Iraq, da dove arrivano diverse di loro). E la struttura metallica ad arco, decorata di rose bianche e gialle, posta all’entrata della chiesa per accogliere il Papa, corre il rischio di cadere più volte per l’entusiasmo delle sorelle.
Ma anche l’immagine della delusione delle centinaia di ragazzi delle scuole cristiane che aspettavano il pontefice ordinatamente disposti lungo la strada dall’aeroporto alla città e che hanno potuto salutare solo il seguito di automobile blindate, visto che il Papa – per guadagnare tempo e per motive di sicurezza -, è stato trasportato in elicottero alla sua destinazione. Erano tristi, forse un’occasione del genere non gli capiterà più nella vita, hanno pensato.
Ancora, altre immagini che restano nella memoria, segni di una Chiesa locale viva, che da’ speranza per il futuro: i volti stanchi ma orgogliosi dei numerosi pellegrini arabi, anche loro minoranza nei Paesi circostanti, arrivati dopo un lungo viaggio a vedere il Papa e prendere forza: come Gabriel Eid, 44 anni, egiziano, interprete ad Alessandria. Giunto a destinazione dopo dodici ore di pullman tra Egitto e Giordania, e un traghetto che lo ha sbarcato finalmente nel porto Giordano di Acaba. O Hayaf Fakhry, carmelitano libanese, arrivato con alcuni parrocchiani dal Libano, in automobile, passando dalla Siria, dopo otto ore di viaggio. Come hanno fatto anche moltissimi altri cristiani libanesi, giunti ad Amman con una cinquantina di pullman. Oppure i cartelli scritti a mano dai fedeli e sventolai o appesi alle case, messaggi semplici, sventolati sperando che il Papa potesse in qualche modo leggerli, come «Il Libano ha bisogno di te» o «L’Iraq ti ama».
Un’immagine che rimane ha, infine, il sapore della rabbia e della frustrazione. Di chi, cristiano in Medio Oriente, ha perso tutto a causa della guerra e del fanatismo islamico. Quella di M.T., uno dei 20 mila cristiani caldei rifugiati dall’Iraq: «Qui in Giordania in definitiva c’è solo un fiume… – mi dice con risentimento -. In Iraq esisteva una civiltà 6 mila anni prima di Cristo, la Torre di Babele dov’è? È In Iraq. Perché il Papa non viene in Iraq?». Un Papa in Iraq. Ipotesi che molti caldei sognano: e che pero padre Federico Lombardi, il portavoce vaticano, durante una conferenza stampa ad Amman, in questi giorni, ha smentito con forza. Nessun viaggio del Papa in Iraq, neanche immaginato, per ora. Adesso tocca invece ad Israele e Palestina. E il viaggio continua.