La presenza armena in Terra Santa non suscita generalmente molti interrogativi: ben visibile a Gerusalemme (anche se numericamente piccolissima), insignificante altrove, fa semplicemente parte del paesaggio umano che si offre agli occhi del pellegrino. Ma la storia di questa Chiesa come pure le tracce dei suoi rapporti con la Chiesa latina meritano qualche approfondimento.
Secondo la tradizione il popolo armeno, stanziato a sud del Caucaso, fu evangelizzato dall’apostolo Bartolomeo e da Taddeo (Addai), uno dei settantadue discepoli. Storicamente l’Armenia fu all’inizio del secolo IV la prima nazione ad adottare il cristianesimo come religione di Stato. Un secolo dopo fu creato un alfabeto e fu tradotta la Bibbia assieme ad altri scritti del patrimonio cristiano. La traduzione dei testi liturgici di Gerusalemme fece sì che la liturgia armena fosse, e sia tuttora, fortemente influenzata dall’antica liturgia palestinese. Cristiani armeni discendenti di commercianti e amministratori si stabilirono molto presto in Terra Santa. Si moltiplicarono i monasteri. Ma a causa di guerre in corso nessun vescovo armeno partecipò al concilio di Calcedonia (451). La Chiesa non ne accettò le conclusioni, e poco a poco si trovò separata dalle Chiese di tradizione bizantina.
Nel periodo crociato i contatti con l’Occidente furono molteplici: ciò non solo nel regno di Gerusalemme ove questa comunità numerosa, ricca e colta entrò a far parte della classe dirigente contando anche alcune regine, ma altresì nella vicina Cilicia ove allora si era stabilito il regno armeno e il centro della Chiesa. Con la Chiesa latina vi furono tentativi di unità, utile alla politica di entrambe. Non vi si giunse ma ne rimasero segni negli usi liturgici. Può essere interessante indicarne alcuni. In certi momenti dell’Eucaristia il celebrante porta una corona dorata, secondo l’uso dei vescovi di tutte le chiese orientali. Ma in epoca crociata alcuni papi inviarono a dei vescovi armeni di Cilicia una mitra di tipo latino in segno di amicizia. Essa fu adottata dai vescovi o da chi ne fa le veci in alcune liturgie solenni. Non è difficile vederla a Gerusalemme. Ancora: in molte liturgie il vescovo o prete di alto rango impugna la classica asta orientale sormontata da due serpenti, simbolo di Cristo innalzato sulla croce secondo Gv 3,14; ma in quelle più solenni si vede, solo in mano ai vescovi, il pastorale ricurvo dei vescovi latini. Infine, al termine dell’Eucaristia si legge un secondo Vangelo, tratto sempre da Giovanni, secondo un uso molto antico; dall’epoca crociata esso consiste perlopiù nel prologo, quello che veniva regolarmente letto al termine della Messa latina fino all’ultima riforma liturgica.
Già dagli esempi forniti appare chiaro che nella liturgia armena non si è mai indebolita l’antica forma orientale: anche dove emergono influenze esterne, esse si integrano agli usi precedenti. E l’Oriente appare da molti segni. Cito a caso la frequenza delle incensazioni mediante incensieri dotati di campanelli; i dischi con l’immagine di cherubini e dotati anch’essi di campanelli, agitati in momenti solenni; i tappeti che ricoprono certe parti della chiesa e dovuti all’uso di accostarsi al sacro a piedi nudi (in realtà si supplisce con l’uso di pantofole); la tenda che nasconde certe parti della liturgia: tutti elementi comuni a molte Chiese orientali. Ma anche le inserzioni latine sono parte di quella tradizione, e alludono a un’amicizia forse insospettata.