«Non so se sia fattibile, non so se gli israeliani glielo permetterebbero, ma se il Papa andasse a Gaza l'impatto sull'intero mondo arabo sarebbe enorme: assisteremmo a una grande trasformazione nei rapporti fra islam e cristianità». Non ha dubbi il professor Bernard Sabella, docente di sociologia alla Bethlehem University e membro del Consiglio legislativo palestinese. È fermamente convinto che una visita di Benedetto XVI «alla parrocchia latina della Striscia di Gaza, anche solo di un paio d'ore, durante la quale mostrare la sua vicinanza alle vittime del conflitto, e indicare al mondo che è dalla parte di chi soffre, avrebbe effetti dirompenti sui rapporti fra Occidente e mondo arabo». Lo stesso Ratzinger ieri, al termine della preghiera dell'Angelus in piazza San Pietro, ha comunicato ufficialmente che il viaggio in Terra Santa si svolgerà dall'8 al 15 maggio prossimo. Si attendono ora i dettagli del programma.
«Non so se sia fattibile, non so se gli israeliani glielo permetterebbero, ma se il Papa andasse a Gaza l’impatto sull’intero mondo arabo sarebbe enorme: assisteremmo a una grande trasformazione nei rapporti fra islam e cristianità». Non ha dubbi il professor Bernard Sabella, docente di sociologia alla Bethlehem University e membro del Consiglio legislativo palestinese. È fermamente convinto che una visita di Benedetto XVI «alla parrocchia latina della Striscia di Gaza, anche solo di un paio d’ore, durante la quale mostrare la sua vicinanza alle vittime del conflitto, e indicare al mondo che è dalla parte di chi soffre, avrebbe effetti dirompenti sui rapporti fra Occidente e mondo arabo». Lo stesso Ratzinger ieri, al termine della preghiera dell’Angelus in piazza San Pietro, ha comunicato ufficialmente che il viaggio in Terra Santa si svolgerà dall’8 al 15 maggio prossimo. Si attendono ora i dettagli del programma.
Il prof. Sabella, dal canto suo, dice di comprendere i timori di chi paventa che la visita «possa aiutare a migliorare l’immagine di Israele e, involontariamente, a minimizzare la sofferenza palestinese sotto l’occupazione israeliana». Il mese scorso in Terra Santa i timori sono anche stati espressi in una lettera inviata al Santo Padre da alcune decine di personalità cristiane. Sabella ammette: «La lettera era stata sottoposta anche a me, ma non l’ho firmata perché essendo io un parlamentare non volevo correre il rischio che una mia adesione fosse intesa come una presa di posizione istituzionale. E poi penso che se il Papa vuol venire deve poter venire, come tanti altri sono venuti prima di lui. Tuttavia il rischio di una strumentalizzazione esiste davvero. Tanto per cominciare, quando si è cominciato a studiare il viaggio non c’era stata la crisi di Gaza. I risultati della guerra hanno creato disagio fra i palestinesi, rimasti traumatizzati per i 1.300 morti e le distruzioni di ogni tipo. Poi c’è il governo israeliano che sta per insediarsi e lo stop al processo di pace: la gente si chiede che tipo di legittimazione il Papa potrà dare con la sua presenza. Molti avrebbero preferito che rimandasse il viaggio, che non venisse ora».
In un conflitto che non ha risparmiato il mondo dell’informazione e lo ha spesso manipolato, il prof. Sabella ritiene che una grande responsabilità gravi sui giornalisti che a maggio seguiranno l’evento: «C’è il timore che la copertura dei media occidentali si concentri su Israele, trascurando la Giordania e i Territori palestinesi. Come cristiani palestinesi, vorremmo lanciare un appello perché il viaggio venga seguito in modo equilibrato e nella sua interezza, e non solo sul versante israeliano».
«È comprensibile – rimarca il sociologo – che siano stati fatti presenti i rischi che il viaggio venga utilizzato per fini politici. Tenete presente che in Terra Santa siamo preoccupati anche per le continue restrizioni che vengono poste all’attività del clero, ai visti per i seminaristi, alla presenza di centinaia di check-point in Cisgiordania che insieme al Muro di separazione rendono la vita impossibile nei Territori. La gente lo accoglierà a braccia aperte, ma il Papa deve sapere cos’è la vita in Palestina».
Per questo, dice Sabella, la speranza espressa dal parroco di Gaza city, padre Manuel Musallam, che il Papa possa recarsi nella Striscia non costituisce affatto un’idea peregrina. «Non nego le difficoltà e non so se in termini di sicurezza e di organizzazione logistica sarebbe possibile – ammette il professore – ma se andasse a Gaza anche solo per un paio d’ore, per visitare i parrocchiani e stare vicino a chi ha sofferto, alleviare in qualche modo le ferite della guerra, il Papa sarebbe il benvenuto da parte di tutti». Non c’è il rischio che una visita nella roccaforte di Hamas venga a sua volta strumentalizzata? «Non occorre – afferma Sabella – che incontri rappresentanti di Hamas, non è necessario: quella del Papa sarebbe una visita pastorale alla Chiesa locale. Nessuno si opporrebbe, al contrario sono sicurissimo che tutti collaborerebbero. Dirò di più: l’opinione pubblica dell’intero mondo arabo, non solo quella palestinese, sarebbe impressionata da questo gesto. Penso che lancerebbe un messaggio dirompente: verrebbe come pellegrino e non come politico. Sarebbe percepito come un uomo di preghiera, che porta guarigione e speranza».