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Pioggia di aiuti su Gaza

03/03/2009  |  Gerusalemme
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Pioggia di aiuti su Gaza

Al termine della conferenza internazionale dei donatori, svoltasi ieri, 2 marzo, a Sharm el Sheikh, sono stati messi insieme finanziamenti per quattro miliardi e mezzo di dollari, una pioggia di soldi su cui, però, regna ancora confusione. Perché nulla ancora si sa né sui tempi né sulle modalità attraverso le quali i soldi raccolti da ottanta Paesi possano arrivare alla popolazione palestinese di Gaza. La comunità internazionale interviene, dunque, per ricostruire, ma non ha invitato a partecipare alla conferenza di Sharm nessuna delle due parti in causa, né Israele né Hamas. Eppure si aprono squarci di dialogo.


Il traguardo era già ambizioso: quasi tre miliardi di dollari da raccogliere per ricostruire Gaza. Alla fine della conferenza internazionale dei donatori, svoltasi ieri, lunedì, a Sharm el Sheikh, di finanziamenti ne sono stati messi insieme, come promesse, una volta e mezza l’obiettivo preposto. Quattro miliardi e mezzo di dollari, una pioggia di soldi su cui, però, regna ancora confusione. Perché nulla ancora si sa né sui tempi né sulle modalità attraverso le quali i soldi raccolti da ottanta Paesi possano arrivare alla popolazione palestinese di Gaza.

La gigantesca questua per Gaza ha comunque, già in sé, significati politici ben precisi. Intanto, la comunità internazionale interviene in tutta fretta dopo aver assistito, senza intervenire se non in modo tardivo, all’Operazione Piombo Fuso, lanciata il 27 dicembre dagli israeliani e conclusasi ventidue giorni dopo, con il bilancio impressionante di 1.400 morti, oltre cinquemila feriti, e almeno ventimila case danneggiate. La comunità internazionale interviene, dunque, per ricostruire, e non invita a partecipare alla conferenza di Sharm nessuna delle due parti in causa, né Israele né Hamas. Decide, poi, di investire in maniera imponente sulla questione arabo-israeliana, partendo proprio dalla questione palestinese.

Se queste sono le ragioni chiare che sottendono al successo «finanziario» della conferenza, ben oltre le aspettative, regna ancora la nebbia su tutto il resto. Anzitutto, sui tempi degli aiuti, che non saranno solo d’emergenza, se è vero che la quota dei paesi del Golfo, 1,65 miliardi di dollari, sarà elargita in cinque anni, mentre per altri contributi si parla di due anni. La seconda questione è quanto di questi aiuti andranno direttamente a Gaza, e quanta parte in Cisgiordania. E poi, attraverso quali canali? Anche a Sharm el Sheikh, com’era stato già annunciato nei giorni precedenti, è stato riconfermato che gli aiuti non passeranno attraverso Hamas, che pure controlla la Striscia. Non saranno solo le organizzazioni internazionali, secondo questo abbozzo di schema, a occuparsi della distribuzione degli aiuti e dell’indicazione dei progetti di ricostruzione e sviluppo. Un ruolo importante lo dovrebbe avere l’Autorità Nazionale Palestinese di Mahmoud Abbas e di Salam Fayyad: ruolo che ha il sostegno diretto degli Stati Uniti, dichiarato pubblicamente dal segretario di Stato Hillary Rodham Clinton, al suo ingresso formale sulla scena mediorientale.

Il capo del dipartimento di Stato americano non ha mai citato Hamas, che però era presente nel suo discorso come un convitato di pietra, alla vigilia della sua partenza per Israele e Cisgiordania. Hillary Clinton ha confermato che Washington sostiene la soluzione dei due Stati, ma senza affrontare le questioni sul tappeto in questi ultimi giorni: la costituzione di due nuovi governi, alla testa degli israeliani e dei palestinesi.

Mentre Bibi Netanyahu sembra sempre più indirizzato verso la creazione di un esecutivo di destra, i palestinesi – almeno stando all’accordo sottoscritto il 27 febbraio scorso – dovrebbe far nascere un governo di unità nazionale, ponendo fine allo scontro tra Fatah e Hamas che dura, esplicito e dirompente, almeno dal giugno del 2007. Se questa è l’intesa siglata al Cairo, dopo un estenuante negoziato gestito e voluto dagli egiziani, la sua realizzazione pratica sembra già messa in serio pericolo dalle parole pronunciate proprio alla vigilia di Sharm. Parole che ripropongono le precondizioni (rinuncia alla violenza, riconoscimento di Israele) che avevano fatto incagliare il precedente governo di unità nazionale, sorto dall’accordo della Mecca del febbraio 2007. Parole che stridono, peraltro, con la diplomazia che corre parallela ai discorsi di Sharm e alle dichiarazioni pubbliche. I segnali di questo nuovo passo sono evidenti soprattutto nei diversi tour a Gaza compiuti da molte personalità internazionali, dal senatore americano John Kerry all’inviato del Quartetto Tony Blair (che per la prima volta si è recato nella zona domenica primo marzo –  ndr), dal ministro degli Esteri norvegese a quello britannico per la Cooperazione internazionale. Con Hamas non si parla, ma a Gaza – controllata capillarmente da Hamas – si va.

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