L'arcivescovo Fouad Twal (68 anni) è il primo ecclesiastico di nazionalità giordana chiamato ad essere patriarca latino di Gerusalemme. Succeduto a mons. Michel Sabbah il 21 giugno dello scorso anno, risponde ad alcune domande di Terrasanta.net sulle attese dei cristiani della Terra Santa rispetto al pellegrinaggio di Papa Benedetto XVI, in programma dall'8 al 15 maggio prossimo. I nostri cristiani, spiega Twal, sono soprattutto arabi e si aspettano di essere confermati nella fede; «hanno bisogno di vedere e di sentire che il Papa viene per loro, anzitutto per loro» e «si aspettano dal Santo Padre gesti di comprensione e di solidarietà».
L’arcivescovo Fouad Twal (68 anni) è il primo ecclesiastico di nazionalità giordana chiamato ad essere patriarca latino di Gerusalemme. Succeduto a mons. Michel Sabbah il 21 giugno dello scorso anno, risponde ad alcune domande di Terrasanta.net sulle attese dei cristiani della Terra Santa rispetto al pellegrinaggio di Papa Benedetto XVI, in programma dall’8 al 15 maggio prossimo. I nostri cristiani, spiega Twal, sono soprattutto arabi e si aspettano di essere confermati nella fede; «hanno bisogno di vedere e di sentire che il Papa viene per loro, anzitutto per loro» e «si aspettano dal Santo Padre gesti di comprensione e di solidarietà».
Signor patriarca, cosa si aspettano le Chiese e le comunità cristiane locali dall’imminente viaggio del Papa in Terra Santa?
Le Chiese e le comunità cristiane si aspettano un’inequivocabile visita apostolica e pastorale, dato che il Santo Padre è il Vicario di Cristo e il Sommo Pastore della Chiesa cattolica, successore di san Pietro. Ci aspettiamo che il Santo Padre metta sempre e dappertutto l’accento sulla vita, le aspirazioni e la croce che vive la Chiesa di Terra Santa. È previsto che il Santo Padre si rechi al Memoriale dell’Olocausto – Yad Vashem, ma non necessariamente nell’annesso Museo dell’Olocausto. Niente sarebbe più naturale di quel gesto per un Pontefice che condanna il più grave crimine nella storia della sua nazione! Peccato che la situazione generale non permetta al Santo Padre di visitare i nostri fedeli a Gaza che hanno sofferto, pochissimi mesi fa una dura guerra. Speriamo però che alcune persone di Gaza abbiano la possibilità di venire a Betlemme per incontrare il Papa. Siamo lieti di sapere che il Pontefice visiterà un campo di profughi del 1948, quello di Aidah, vicino a Beit Jala (nei dintorni di Betlemme). Questo può significare che il Santo Padre condivide le sofferenze di tutti i rifugiati e che la Santa Sede afferma, tramite questa visita, «il diritto di ritorno» dei profughi palestinesi alle loro città e villaggi, diritto riconosciuto a tutti gli altri profughi nel mondo.
A Benedetto XVI chiedete quindi di darvi coraggio…
I nostri fedeli hanno bisogno dell’incoraggiamento del Sommo Pontefice, perché la loro vita in Terra Santa è difficile. Hanno bisogno di vedere e di sentire che il Papa è venuto per loro, anzitutto per loro, e questo desiderio è più che legittimo. Si aspettano dal Santo Padre parole dirette e chiare per «confermarli nella fede», come chiese il Signore a Simon Pietro. Hanno bisogno di vedere che il Papa è anzitutto il loro padre, un capo religioso che vuol la pace e la sicurezza per tutti gli abitanti della regione.
Quindi la priorità è per la Chiesa locale. I nostri fedeli arabi – che sono il nucleo e la stragrande maggioranza di ieri e di oggi nelle nostre diocesi – si aspettano dal Santo Padre gesti di comprensione e di solidarietà, anche qualche progetto concreto, se possibile, lanciato dal Papa durante la sua visita a favore dei cristiani locali, come fece Paolo VI dando vita all’Istituto ecumenico di Tantur. Abbiamo bisogno dell’incoraggiamento e della solidarietà del Successore di Pietro per sopravvivere e per mantenere la fede e la speranza. Speriamo che il Pontefice intervenga presso tutte le autorità per assicurare i nostri diritti fondamentali e per chiedere ad alta voce la giustizia e l’uguaglianza. Sarebbe una tragedia se la Terra Santa e la Giordania continuassero a svuotarsi dei cristiani locali malgrado l’influsso morale mondiale della Santa Sede. Quindi, per le nostre comunità speriamo che il dialogo e l’avvicinamento con i non cristiani che vengano dopo l’attenzione, la sollecitudine e la solidarietà del Pontefice-Pastore per e con il suo piccolo gregge, purtroppo sempre più ridotto. Questa visita, lo speriamo, ci vivificherà e attirerà l’attenzione del mondo su di noi, concittadini di Cristo e della Madonna, successori della Chiesa primitiva ed apostolica. Nel 1974, nell’esortazione apostolica Nobis in animo, il rimpianto Paolo VI ammoniva con un tono tragico:«Se un giorno i cristiani locali venissero a mancare in Terra Santa, la cristianità mondiale perderebbe una testimonianza di prima mano, e i Luoghi Santi cristiani diventerebbero dei musei». Nel 1970, i cristiani arabi costituivano più o meno il 3 per cento in Terra Santa e il 5,5 per cento in Giordania. Oggi sono circa 2 per cento in Israele e Palestina, e il 4 per cento in Giordania. Con maggiore fede in Dio e in noi stessi, speriamo di poter frenare l’emigrazione dei cristiani.
Il viaggio cade in un momento delicato anche per le relazioni ebraico-cristiane. Cosa si aspetta dalla venuta del Papa? Quali reazioni sul versante ebraico?
È normale che gli ebrei siano contenti perché il Papa renderà omaggio alle vittime ebree dell’Olocausto perpetrato dal terzo Reich. Dopo che il Pontefice ha chiarito che non sapeva niente dell’atteggiamento negazionista del vescovo lefebvriano Richard Williamson, speriamo che gli ebrei si calmino e che non continuino a confondere il piano storico (su cui si situa la negazione o la posizione revisionista di Williamson) e il livello ecclesiastico religioso, cercando di capire che un Papa, sensibile all’unità, cerca di radunare il suo gregge disperso e di ricondurvi le pecorelle che se ne sono allontanate e separate.
La visita del Papa toccherà in prima battuta la Giordania… Come si sta preparando la Chiesa in quel Paese?
Il Santo Padre onora la Giordania iniziando proprio da questo Paese, come fecero i predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, il suo pellegrinaggio apostolico. Nel regno giordano si trova la porzione più consistente della nostra comunità cristiana locale. Difatti, ai cristiani giordani si sono aggiunti, nel 1948 e nel 1967, tanti profughi palestinesi, tra cui un buon numero di cristiani. Tutti hanno la nostra stima e premura.
Ho avuto la gioia di constatare la serietà dei preparativi alla visita del Santo Padre in Giordania. I nostri vescovi, parroci, comunità religiose, e i fedeli, con la magnanima collaborazione del governo giordano, preparano al Sommo Pontefice un’accoglienza cordiale e piena di rispetto, ringraziandolo per questa visita storica alla loro Chiesa e alla loro patria, ma anche per aver scelto un figlio della loro terra, quale sono io, come patriarca latino di Gerusalemme, chiamato a servire «la Madre di tutte le Chiese».
Anche qui in Palestina e in Israele i preparativi vanno bene e c’è collaborazione da parte di tutte le autorità civili. Questa visita è e deve essere una benedizione per noi tutti. Speriamo che tanti altri pellegrini seguano il buon esempio del Papa e vengano a trovarci.