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Il contributo dei cristiani palestinesi alla causa nazionale

15/03/2009  |  Ramallah (Cisgiordania)
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Il contributo dei cristiani palestinesi alla causa nazionale
Il reverendo Naim Ateek.

A Ramallah nei giorni scorsi è stato presentato un libro del reverendo evangelico Naim Ateek. L'autore ha illustrato le tesi contenute nella sua ultima pubblicazione, scritta direttamente in inglese, dal titolo: A Palestinian Christian Cry for Reconciliation. Il canuto reverendo evangelico è un arabo israeliano, fondatore e direttore del centro ecumenico teologico Sabeel che a Gerusalemme è impegnato per la causa del popolo palestinese e una teologia della liberazione declinata localmente. «Il mio libro» esordisce l'autore, «si basa su tre idee portanti: il bisogno di una stretta connessione fra tutti i palestinesi cristiani, il dialogo con i palestinesi musulmani, la pace tra palestinesi e israeliani».


Ramallah, la città sede dell’Autorità Nazionale Palestinese, vive oggi sotto il segno della molteplicità: di nazionalità, di stili di vita, di culture e di culti. Dal punto di vista religioso i musulmani sono la maggioranza, ma la comunità cristiana è molto numerosa (oltre il 40 per cento della popolazione). Al suo interno vi sono inoltre tanti riti diversi, da quello cattolico a quello protestante, dall’ortodosso all’anglicano. E vi anche la presenza di una comunità di quaccheri, piccola ma storicamente ben radicata: presenti dalla fine dell’Ottocento, costruirono nel 1910 un primo posto di incontro pubblico, chiamato Friends Meetinghouse, che c’è ancora, dopo oltre un secolo e varie peripezie, e ospita iniziative mensili, volte, ci spiega Angie, massiccia tuttofare di origini statunitensi, «a sviluppare la fede nell’armonia delle differenze». Dunque letture, concerti, incontri, seminari, discussioni e presentazioni di libri.

Proprio la presentazione di un libro è stata l’occasione per riunire la comunità, assieme a qualche osservatore esterno. Il reverendo Naim Ateek ha infatti illustrato le tesi contenute nella sua ultima pubblicazione, scritta direttamente in inglese, dal titolo: A Palestinian Christian Cry for Reconciliation («Un grido cristiano-palestinese per la riconciliazione»). Il canuto reverendo evangelico è un arabo israeliano, fondatore e direttore del centro ecumenico teologico Sabeel che a Gerusalemme è impegnato per la causa del popolo palestinese e una teologia della liberazione declinata localmente.

«Il mio libro» esordisce l’autore, «si basa su tre idee portanti: il bisogno di una stretta connessione fra tutti i palestinesi cristiani, il dialogo con i palestinesi musulmani, la pace tra palestinesi e israeliani». Quella di Ateek è l’analisi di un fedele che però insiste nel sottolineare che il conflitto con Israele non si può risolvere interpretando i testi sacri, ma esclusivamente con la politica e le leggi internazionali. Certo, la religione è parte del conflitto, quindi non si può non considerarla; il libro è dunque un continuo dialogo tra religione e politica, anche se ci sono parti prettamente teologiche che, suggerisce con una certa malizia il reverendo, i non addetti ai lavori possono anche saltare o leggere alla fine. Il religioso è convinto che la soluzione del conflitto ci sarà, e sarà quella dei due Stati, anche se oggi è davvero arduo immaginare uno Stato palestinese, a causa soprattutto delle sempre più numerose colonie ebraiche che sorgono in Cisgiordania.

«Ma uno Stato palestinese ci sarà e porterà la pace», ripete Naim Ateek, «ed è allora che inizierà il vero lavoro». Sì, perché il difficile non è soltanto arrivare a una pace giusta, ma ancora di più lavorare sulle coscienze per conseguire il perdono e la riconciliazione. Questo è il messaggio più profondamente religioso, quello di un uomo che guarda la guerra da una prospettiva di fede, che non smette di credere nella pace giusta (nel suo linguaggio questi due termini formano un binomio inscindibile) e che è pronto poi ad impegnarsi nella riconciliazione tra ebrei, musulmani e cristiani che passa attraverso un profondo dialogo interreligioso. È una grande scommessa, sulla quale ovviamente l’autore punta tutte le sue carte. Si tratta ora di capire quanto siano disposti a scommettere i palestinesi, in primis i cristiani, su questa possibilità di giustizia e pace radicate negli animi, oltre che nello scenario geopolitico.

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