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Paolo non è un «evangelista». Nelle sue lettere si concentra sulla risurrezione del Signore. Da cui dipende ogni altra parola di salvezza.

Al centro del mistero della Pasqua

suor Chiara Beatrice
5 marzo 2009
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Al centro del mistero della Pasqua
Giovanni Bellini, Risurrezione di Cristo (dettaglio), Staatliche Museen, Berlino.

Scorrendo gli scritti dell’apostolo Paolo si resta colpiti dall’organicità del suo pensiero, che si presenta in modo straordinariamente unitario agli occhi del lettore. Paolo non ha l’intento di offrire alle sue comunità una trattazione sistematica, eppure nelle sue parole si coglie un’evidente unità di fondo, intorno alla quale tutto appare gravitare. C’è un ritorno continuo al mistero di Cristo morto, risorto e vivente nella Chiesa. Si potrebbe dire che Paolo abbia questo «chiodo fisso» che unifica tutta la sua teologia. Nelle lettere non si trova quasi nulla della vita e del ministero di Gesù, fatta eccezione per il fatto finale culminante della morte e risurrezione.

Ciò non significa che Paolo non conosca quel deposito di tradizione orale su Gesù cui attingeranno successivamente gli evangelisti per costruire i loro testi. Sappiamo da Paolo stesso dei giorni trascorsi a Gerusalemme in compagnia di Pietro (Gal 1,18), due o tre anni dopo la sua conversione, e quindi solo cinque dopo la morte di Gesù. È probabile poi che già prima egli abbia ricevuto da parte dei credenti di Damasco una qualche forma di annuncio, così come è verosimile che si trovasse a Gerusalemme per la sua formazione farisea durante una parte del ministero di Gesù. Ma l’intento di Paolo non è lo stesso degli evangelisti. Egli non considera le sue lettere un mezzo per trasmettere quella tradizione di Gesù che le Chiese hanno già ricevuto nel momento della loro fondazione: si limita a riferimenti impliciti, a ciò che gli pare opportuno richiamare di fronte alle problematiche dei suoi destinatari. Ciò che a Paolo preme porre al centro, e richiamare continuamente, è il mistero della Pasqua. A un livello profondo e vitale la sua esistenza personale, e quindi tutta la sua attività, si spiega e si unifica a partire da quell’incontro fontale con Gesù crocifisso e risorto, avvenuto sulla via di Damasco. Il credo essenziale di Paolo, il cosiddetto «simbolo paolino», consiste in questa scarna professione di fede: «Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rom 10, 9). La risurrezione è il dato fondamentale, ma quasi mai Paolo ne parla come di un fatto a sé stante, disgiunto dalla morte in croce. Morte e risurrezione sono i due aspetti di un unico evento: tra il crocifisso e il risorto c’è assoluta identità, storica e salvifica. Il passo della Prima lettera ai Corinzi (15,1-5), probabilmente il testo più antico in cui si parla della risurrezione di Gesù, contiene a sua volta la confessione originaria della fede cristiana, che Paolo stesso dice di aver ricevuto: Cristo è morto per i nostri peccati, fu sepolto, ed è stato risuscitato.

Ogni aspetto della rivelazione cristiana, ogni altra verità discendono da qui: Dio si rivela come Padre risuscitando Gesù; lo Spirito è il soffio vitale di colui che ha risuscitato Gesù; la Chiesa nasce dalla Pasqua, e proprio in forza di ciò può essere definita «corpo di Cristo»; nel battesimo il credente viene associato a Gesù morto e risorto; nell’Eucaristia si celebra il mistero pasquale, annunziando la morte del Signore finché egli venga… In una parola, il senso globale della vita cristiana riposa per Paolo nella Pasqua di Gesù, perché «egli è morto per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2 Cor 5,15).

(L’autrice è monaca di clausura tra le clarisse del monastero di Santa Chiara a Milano)

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