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Prove tecniche di tregua

13/02/2009  |  Gerusalemme
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Prove tecniche di tregua
Il valico di Erez, al nord della Striscia di Gaza. È uno dei varchi tra Israele e i Territori palestinesi che dovrebbero essere riaperti non appena entrerà in vigore la tregua che si sta negoziando al Cairo.

A parlare per prima, stavolta, è stata Hamas, che attraverso il suo numero due, Mussa Abu Marzuq, ha confermato che la tregua con Israele è vicina. «Abbiamo accettato una tregua di un anno e mezzo con Israele», ha detto Abu Marzuq, considerato il «ministro degli esteri» di Hamas. Se Hamas ha fatto il primo passo pubblico, l'altro protagonista dell'accordo, e cioè Israele, non ha ancora risposto. L'intesa prevede il cessate il fuoco e l'apertura dei valichi tra Israele e Gaza. Ma questa è solo la prima delle tre fasi in cui dovrebbe essere suddiviso l'accordo.


A parlare per prima, stavolta, è stata Hamas, che attraverso il suo numero due ha confermato che la tregua con Israele è vicina. Mussa Abu Marzuq, che nella nomenklatura del movimento islamista palestinese ricopre la carica di vicecapo dell’ufficio politico a Damasco, ha svelato parte delle sue carte al Cairo, a margine dei colloqui con l’intelligence egiziana che fa da mediatrice tra Hamas e Israele.

«Abbiamo accettato una tregua di un anno e mezzo con Israele», ha detto Abu Marzuq, considerato il «ministro degli esteri» di Hamas, e sino al 1995 numero uno del movimento radicale. Secondo l’intesa, «sei valichi tra la Striscia di Gaza e Israele saranno aperti, mentre Israele dovrà fermare ogni aggressione militare», ha detto il leader islamista all’agenzia di stampa governativa egiziana, la Mena.

Se Hamas ha fatto il primo passo pubblico, l’altro protagonista dell’accordo, e cioè Israele, non ha ancora risposto. Siamo ormai in pieno shabbat, è vero. Per ora, le indiscrezioni dicono che il negoziatore del governo di Tel Aviv, Amos Gilad, dovrebbe tornare al Cairo sabato sera, e che l’intesa potrebbe essere raggiunta, se non domenica, comunque prima di mercoledì. Il giorno nel quale il presidente Shimon Peres dovrebbe affidare a Tzipi Livni o a Bibi Netanyahu l’incarico di formare un nuovo esecutivo, dopo le elezioni del 10 febbraio scorso. Si tratta, dunque, di una corsa contro il tempo, per la tregua tra Hamas e Israele, prima che si insedi – com’è probabile – un governo di destra guidato da Netanyahu.

L’intesa di cui parla Abu Marzuq, e cioè il cessate il fuoco (niente razzi Qassam sul territorio israeliano e stop alle operazioni di Tsahal, l’esercito israeliano) contemporaneo all’apertura dei valichi tra Israele e Gaza, è solo una delle fasi in cui dovrebbe essere suddiviso l’accordo. La trattativa, infatti, è talmente complessa da prevedere più stadi, e anche più protagonisti.

La prima fase è, appunto, quella di cui parla Abu Marzuq. La fase successiva, nel caso in cui il cessate il fuoco tenesse, riguarda lo scambio dei prigionieri, la liberazione del caporale israeliano Gilad Shalit in cambio dell’uscita dalle carceri israeliane di circa mille detenuti palestinesi, meno di un decimo di quelli ora negli istituti penitenziari. È qui, su questo secondo stadio della trattativa, che le indiscrezioni di stampa non sono chiare. Non è, infatti, ancora possibile comprendere se il negoziato è a uno stadio avanzato, praticamente finalizzato, oppure se vi siano ancora ostacoli da superare. Uno per tutti: il benestare israeliano sui nomi della lista dei detenuti palestinesi.

Infine, la terza fase della trattativa, quella in cui entra in scena l’Autorità Nazionale Palestinese, il governo di Ramallah. In parallelo alla mediazione tra Israele e Hamas, condotta dall’intelligence egiziana, è in corso al Cairo un altro negoziato, quello interpalestinese. Non si è ancora alle trattative avanzate, come quelle tra il governo Olmert e la leadership islamista. Si tratta, piuttosto, dell’inizio di un dialogo (difficile) tra Fatah e Hamas sulla base di un documento sulla riconciliazione proposto dagli egiziani: per ora, sul documento stanno discutendo due delegazioni di medio livello di Fatah e Hamas, in attesa di un incontro formale previsto per il 22 febbraio.

Qual è, dunque, il punto di contatto tra i due tavoli negoziali? Uno solo, ma determinante. Il valico di Rafah, quello che unisce la Striscia di Gaza all’Egitto. La gestione del posto di frontiera è fondamentale per l’architettura dell’intero accordo, perché il controllo dovrebbe essere nelle mani della guardia presidenziale di Mahmoud Abbas, assieme agli egiziani, con una possibile presenza turca a mediare tra le parti, e una soluzione che consenta ad Hamas di mantenere il controllo sul territorio di Gaza. Si tratta, dunque, di una materia delicatissima, un fragile castello di carte, in cui è necessario andare per gradi, per piani, e sperare che tutto non crolli con un soffio di vento.

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