Un'analisi a caldo sull'esito della giornata elettorale di ieri in Israele. Ha vinto Tzipi Livni, alla guida da pochi mesi del partito centrista fondato da Ariel Sharon. Ma ha vinto di misura, con 28 seggi, un solo seggio di scarto dal suo più forte avversario, Benjamin (Bibi) Netanyahu. E poi ha vinto Avigdor Lieberman, leader populista (laico) di Yisrael Beitenu, che sulla retorica contro gli arabo-israeliani si è guadagnato, con quindici deputati, un solido terzo posto nello spettro politico del Paese. Troppi vincitori, insomma, per un piccolo Paese come Israele, dove ieri è andato a votare il 65,2 per cento dei 5 milioni e 200 mila aventi diritto.
Ha vinto Tzipi Livni, alla guida da pochi mesi del partito centrista fondato da Ariel Sharon. Ma ha vinto di misura, con 28 seggi, un solo seggio di scarto dal suo più forte avversario, Benjamin (Bibi) Netanyahu. Ha vinto anche Bibi, però, perché in poco più di tre anni – dopo l’emorragia provocata dall’uscita di Ariel Sharon dal Likud e dalla nascita di Kadima – è riuscito a ricostruire il consenso attorno al partito tradizionale della destra israeliana. E poi ha vinto Avigdor Lieberman, leader populista (laico) di Yisrael Beitenu, che sulla retorica contro gli arabo-israeliani si è guadagnato, con quindici deputati, un solido terzo posto nello spettro politico del Paese. Troppi vincitori, insomma, per un piccolo Paese come Israele, dove ieri è andato a votare il 65,2 per cento dei 5 milioni e 200 mila aventi diritto.
Un unico, reale vincitore comunque c’è, nelle consultazioni anticipate alle quali Israele è stato costretto dopo le dimissioni del premier Ehud Olmert e l’incapacità, da parte di Tzipi Livni, di formare una coalizione di governo, nell’autunno scorso. And the winner is: la destra d’Israele, che si aggiudicata la maggioranza – certo non compatta e variegata – dentro la diciottesima Knesset. Perché il panorama che esce dalle elezioni più frammentate della storia del Paese dice una sola cosa chiara: il vero sconfitto si chiama Labour, il partito che ha fondato Israele e che l’ha governato nei decenni del consolidamento. Guidato dal ministro della Difesa Ehud Barak, reduce dall’Operazione Piombo Fuso su Gaza, il partito laburista si è guadagnato solo un quarto posto con tredici seggi, dietro Yisrael Beitenu di Lieberman, e tallonato da vicino dallo Shas, il partito ultraortodosso sefardita, che avrà una pattuglia di undici deputati. E non è andata meglio al Meretz, la sinistra pacifista, che riesce a ottenere solo tre seggi.
La sinistra, o meglio, il centro-sinistra israeliano subisce una cocente sconfitta. La destra, declinata secondo i diversi modi in cui si è conservatori in Israele, emerge come l’unico, netto vincitore di elezioni segnate dall’attacco militare a Gaza. Un risultato di questo tipo non può non incidere nella formazione del futuro governo, di cui i protagonisti stanno già parlando da ore, dalla lunga notte elettorale in cui Livni, Netanyahu e Lieberman hanno lanciato i primi messaggi trasversali e hanno fatto le prime affermazioni politiche. Facendo comprendere che dietro l’angolo c’è, evidente, il rischio della ingovernabilità, confermato dalla decisione del presidente Shimon Peres di designare il premier incaricato solo la prossima settimana.
Se, infatti, Tzipi Livni ha detto che sarà lei a formare il nuovo governo, forte della vittoria formale, e di misura, Bibi Netanyahu ha risposto che sarà lui il prossimo premier. Perché è lui ad avere i numeri per un governo di destra. Lieberman, però, non ha ancora sciolto nessuna riserva, rivestendo in pieno il ruolo dell’ago della bilancia, o del deus ex machina di questo delicato passaggio post-elettorale. Il capo di Yisrael Beitenu potrebbe anche aderire a un governo di unità nazionale, con la Livni, ma il prezzo da pagare nel programma dell’esecutivo sarebbe molto forte. Lieberman potrebbe anche entrare in un governo di destra presieduto da Netanyahu, ma bisognerebbe superare lo scontro che ha segnato la coda della campagna elettorale, tra Yisrael Beitenu e lo Shas, i laici che vogliono il matrimonio civile e il partito ultraortodosso di rabbi Ovadia Yosef.
Gli esperti di alchimie politiche, dunque, sono già al lavoro per trovare una soluzione che duri, in uno dei periodi di più evidente debolezza politica di Israele. Proprio all’indomani della vittoria di Barack Obama, della tragedia di Gaza che sta incidendo fortemente sull’immagine di Israele, e – infine – in contemporanea con i negoziati su di una tregua di un anno e mezzo con Hamas nella Striscia di Gaza.