Il 2009 si è aperto con i tristi scontri nella Striscia di Gaza che hanno peggiorato i già pessimi rapporti tra israeliani e palestinesi. L’anno si è anche aperto con uno sviluppo che potrebbe inaugurare una nuova stagione nei rapporti tra due altri due popoli mediorientali, quelli libanese e siriano. La decisione di scambiarsi gli ambasciatori sembra una prassi normale tra due Stati indipendenti, ma tra Siria e Libano ciò non è stato possibile per oltre sessant’anni.
La nascita, nel 1920, di uno Stato libanese sotto mandato francese (poi indipendente dal 1943) è stato considerato da Damasco come un affronto e uno strappo, deciso a tavolino dai colonialisti francesi, all’unità geografica e politica della Grande Siria. Lo slogan delle «relazioni privilegiate» ha così dominato la storia dei rapporti bilaterali per lunghi decenni. Nel 1976, alla vigilia dell’intervento militare siriano in Libano, il presidente Hafez al-Assad ha potuto affermare che «Libano e Siria sono un unico popolo in due Stati». Un’affermazione, questa, che non ha affatto impedito ai siriani di allearsi e di scontrarsi, a turno, con tutte le comunità e partiti libanesi. Il concetto di «relazioni privilegiate» si è così trasformato nella pratica in strumento di assoggettamento del più piccolo al più grande. D’altronde, il Libano (ma anche l’Olp) ha rappresentato per gli strateghi siriani solo una «carta», da giocare ai negoziati con Israele e gli Stati Uniti.
Questo ruolo di sponsor regionale del destino libanese è così andato avanti, nel silenzio complice internazionale, fino all’aprile 2005 quando le truppe siriane stanziate in Libano hanno dovuto fare in fretta e furia le valigie sotto la pressione venutasi a creare dopo l’assassinio di Rafik Hariri. Da «privilegiate» (perlomeno ufficialmente) le relazioni sono diventate improvvisamente tese e pessime. Fino allo scorso anno con l’elezione di un nuovo presidente della Repubblica libanese e la decisione, annunciata a Parigi in presenza dei due presidenti libanese e siriano, di scambiarsi gli ambasciatori. Cosa vuole il Libano dalla Siria? La risposta la troviamo in un famoso appello del Sinodo maronita nel 2000, diventato poi il manifesto della «Seconda indipendenza» libanese. «Desiderando sviluppare le migliori relazioni fraterne tra Libano e Siria – si legge nell’appello -, riteniamo che sia giunto il momento di rivedere il modo di rapportarsi tra i due Paesi, così che ognuno di essi tragga forza dall’altro, che ognuno completi l’altro in maniera buona e utile a entrambi, e che venga ridispiegato l’esercito siriano presente in Libano in previsione del suo ritiro definitivo in base alla risoluzione 520 e gli Accordi di Taif, mantenendo i legami storici e geografici e i legami di parentela e amicizia tra i due popoli (…). Un Libano sano è di sostegno per la Siria, ma se rimane malato diventa un peso per essa. Noi chiediamo per il Libano la stessa dignità, progresso e pace che auguriamo alla Siria».
In sostanza il Libano spera, attraverso le relazioni diplomatiche, di cambiare i rapporti vigenti tra Stato e fazioni in rapporti tra due Stati, entrambi sovrani. La Siria è pronta a questo salto di qualità capace di gettare le basi di una sana cooperazione fraterna tra i due popoli? Non è semplice dare una risposta. Per ora, le visite dei responsabili sono ancora a senso unico (verso Damasco, per intenderci) e la Siria non sembra aver rinunciato ai canali di contatto paralleli con i suoi alleati politici libanesi. Il nuovo corso ha certamente bisogno di tempo per essere confermato. Le elezioni legislative previste a primavera in Libano offriranno l’occasione di valutare se qualcosa sia veramente cambiato oppure se la nuova sede diplomatica siriana assomigli di più a una centrale per gestire da vicino gli affari del «piccolo fratello» libanese.