Il Baal-Shem Tov (Signore dal nome buono), fondatore della corrente mistica chassidica sviluppatasi inizialmente nell’Europa dell’Est a partire dal 1750 e poi diffusasi in tutto il mondo, una volta disse: «Un proverbio del popolo dice: "con la sola verità si può andare in tutto il mondo". Il detto è esatto: con la verità si può andare davvero in tutto il mondo, infatti non la si afferma in nessun luogo…» (C. Bloch, Storie chassidiche, Theoria, Roma-Napoli 1991, p. 42).
Viene così riformulata in forma narrativa una convinzione fondamentale nella tradizione ebraica: la verità non è un presupposto, bensì una meta verso la quale si deve camminare insieme attraverso il dialogo e il rispetto delle differenze, nella consapevolezza che ciascuno può comprenderne un frammento che, pur appartenendo alla medesima, ne evidenzia un aspetto ma non la totalità che si mostrerà agli uomini alla fine della storia, nel «mondo avvenire». Come infatti precisato nel Talmud – fonte autorevole della tradizione rabbinica – non si deve mai dimenticare il versetto dodicesimo del Salmo 62, nel quale è detto: «Una parola ha detto Dio, due sono quelle che ho udito, il potere appartiene a Dio», che significa riconoscere che la verità della rivelazione sul versante storico può essere detta in molti modi e non presuppone un’unica e medesima interpretazione, per questo è paragonabile anche ad un martello che urta contro una roccia sprigionando scintille (cfr Ger 23,29): ogni scintilla è il risultato del colpo del martello sulla roccia, ma nessuna scintilla è l’unico risultato (cfr Talmud Babilonese, Sanhedrin 34a e Shabbat 88b). Tale prospettiva ha da sempre favorito nell’ebraismo l’importanza del confronto, dei punti di vista diversi anche in contrapposizione fra loro, sviluppando una mentalità dialettica che ancora oggi caratterizza gli ambienti di studio sia religiosi che laici. All’interno di una discussione, l’importante non è convincere chi è su posizioni diverse avvicinandolo alla propria, bensì far emergere tutti i punti di vista possibili per comprendere meglio la verità nei suoi vari aspetti che comunque non la esauriscono, in quanto è sempre «oltre» le nostre capacità di indagine. Per questo, a proposito del dialogo fra il popolo di Israele e gli altri popoli in relazione alla comprensione dell’Unico Dio, Elia Benamozegh – rabbino a Livorno verso la fine del 1800 – riprende una nota affermazione di Simmaco che, interrogandosi sul significato di forme religiose diverse, precisa: «è perché il mistero è così grande che è impossibile raggiungerlo per una sola via», e aggiunge: «Il monoteismo non può divenire universale che a questa condizione: unità nella diversità e diversità nell’unità» (Israele e l’umanità, Marietti, Genova 1990, p. 275).
Tale atteggiamento presuppone grande rispetto per ogni forma di fede sincera, religiosa o laica che sia, in quanto esprime comunque la tensione verso l’unica meta raggiungibile per vie diverse a seconda della propria situazione e delle proprie inclinazioni. In tale orizzonte i racconti chassidici riportano il seguente insegnamento del Rabbi di Lublino – soprannominato «il veggente» – che, invitato ad indicare una via universale per il servizio di Dio risponde: «Non si deve dire agli uomini quale via debbano percorrere… Ognuno deve guardare attentamente a quale via lo spinge il suo cuore, e poi scegliere quella con tutta la sua forza» (M. Buber, I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano 19883, p. 357).