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Padre Pizzaballa: la prima vittima di questa guerra è il dialogo

12/01/2009  |  Milano
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Padre Pizzaballa: la prima vittima di questa guerra è il dialogo
Fra Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa.

Abbiamo raggiunto telefonicamente il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, per chiedergli il suo punto di vista dopo oltre due settimane di conflitto a Gaza. «È chiaro - dice il francescano - che il frutto evidente di questo conflitto è l'aumento dell'odio e dell'incomprensione reciproca. Viene meno, nella percezione comune, l'idea che è necessario dialogare». Al momento, aggiunge il Custode, le comunità cristiane locali non possono neppure offrire solidarietà concreta alla popolazione civile della Striscia, perché il territorio è sigillato. Solo i militari israeliani possono entrare e uscire senza restrizioni.


Abbiamo raggiunto telefonicamente il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, per chiedergli il suo punto di vista dopo oltre due settimane di conflitto a Gaza.

Padre Pizzaballa, cosa pensa della situazione attuale, dopo 17 giorni di guerra nella Striscia di Gaza?
Sinceramente non so più cosa pensare… Non credo che sia possibile stabilire che in questa situazione ci sia un giusto e uno sbagliato. È chiaro invece che chi soffre sono sempre le persone più deboli. Ed è chiaro che il frutto evidente di questo conflitto è l’aumento dell’odio e dell’incomprensione reciproca. Gran parte degli israeliani sono favorevoli al conflitto; finalmente vedono nella guerra una risposta forte che dà voce ai risentimenti dovuti ad un così lungo periodo di lancio di razzi da Gaza. D’altra parte, sul versante palestinese, l’odio e il rancore di vivere una situazione come quella della Striscia, oggi, stanno aumentando a dismisura. La vittima di questa situazione è il dialogo. Non tanto il dialogo politico, che le autorità dovranno per forza intraprendere, per via del loro ruolo; ma il dialogo tra le popolazioni: il riconoscimento, cioè, nella percezione comune, che è necessario dialogare, rimarrà lontano e non attuato ancora per molto.

Come si sta mobilitando la Chiesa di Terra Santa per venire in soccorso delle vittime del conflitto?
Veramente oggi siamo tutti impotenti. Non possiamo fare nulla. Questo è uno degli aspetti negativi di questa situazione. Sì, ci è stata chiesta la disponibilità ad accogliere bambini, nel caso in cui si possano portare fuori dalla Striscia. E tutti gli istituti religiosi hanno dato questa disponibilità; ma il fatto è che si tratta solamente di un auspicio: nelle condizioni attuali nessuno, a parte l’esercito israeliano, può entrare o uscire dalla Striscia.

Come commenta l’auspicio del Papa che dalle prossime elezioni escano politici in grado di favorire la Pace in Terra Santa?
Credo che sia un auspicio comune a tutti. Il Papa non faceva riferimenti a nessun partito; la speranza è che, chiunque sia eletto, possa prendere decisioni a favore della pace.

Pensa che alle condizioni attuali il previsto viaggio del Papa in Terra Santa si potrà comunque realizzare?
Il viaggio del Pontefice ufficialmente, in realtà, non è mai stato annunciato, e dunque neanche si può ufficialmente cancellare.

Cosa possono fare concretamente i cristiani dei Paesi occidentali per aiutare le persone in difficoltà a causa della guerra e favorire la pace?
Innanzitutto i cristiani possono pregare, e questa è di certo la cosa più importante. Secondariamente, bisogna continuare ad incoraggiare i pellegrinaggi: i pellegrinaggi in Terra Santa sono sicuri e la situazione di guerra è ristretta a Gaza; se dovesse diffondersi l’idea che la sicurezza dei pellegrinaggi è a rischio, cosa non vera, verrebbe a mancare un introito economico per le popolazioni della Terra Santa e questo sarebbe un ulteriore grave problema per la vita degli abitanti di questa terra. Infine è anche molto importante che i cristiani attuino una mobilitazione seria e non strumentalizzata politicamente, nei Paesi in cui vivono: occorre fare pressione nei confronti della comunità internazionale perché si muova e insista con le parti per una conclusione del conflitto.

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