Tutti quelli che si sono recati ultimamente a Nazaret, passando per la nuova strada che dalla pianura di Esdrelon sale contornando il lato meridionale e orientale del Monte del Precipizio (Jebel el-Qafze), sono stati esposti a inedite visioni del territorio circostante la città e del monte Tabor in particolare. Passando sopra il ponte e prima di entrare dentro il tunnel di recente costruzione, o all’inverso per chi dovesse fare la medesima strada in discesa, appaiono le grotte del Monte del Precipizio, disposte l’una in fronte all’altra.
La grotta di destra, alla base del picco maggiore, è di formazione naturale e di dimensioni più grandi, e risulta essere stata abitata dall’uomo in epoche preistoriche. Sono stati trovati in particolare resti umani (scheletri di adulto e bambino) con le caratteristiche antropomorfiche tipiche dell’uomo moderno (homo sapiens). La cura dei cadaveri, trattati con ocra rossa, è giudicata indicativa di un primo sviluppo del pensiero umano e/o pratica religiosa. All’epoca del ritrovamento (anni Trenta) questi resti furono datati intorno a 40-50 mila anni fa, ma utili confronti con la caverna di es-Shkul, a sud di Haifa, (scavata più di recente) suggeriscono la possibilità di arretrarne la datazione fino a quasi 100 mila anni.
L’altra grotta, più piccola, si trova sulla cima più bassa del monte e sulla parte sinistra della valle. Si mostra essere stata in origine una semplice frattura della parete rocciosa, in quel punto praticamente verticale e alta una ventina di metri, successivamente adattata come parte di un complesso religioso semirupestre tipico dei monasteri lauriti di epoca bizantino-araba. Ne abbiamo menzione nel Commemoratorium de casis Dei dell’anno 808: «A un miglio da Nazaret, dove i Giudei vollero precipitare Cristo Signore, è costruito un monastero e chiesa di Santa Maria». I crociati chiamarono il luogo in latino Saltus Domini (Il salto del Signore) con una interpretazione piuttosto particolare del testo evangelico (Lc 4,28-30). Ci riferisce, tra gli altri, Burcardo di Monte Sion nel 1283: «Sfuggì dalle loro mani e subito, come ivi si mostra, si trovò sul lato opposto del monte, alla distanza di un tiro d’arco. E vi si vedono le forme del corpo e delle vesti impresse nella pietra». Più esplicito è Giacomo da Verona (1335): «Saltò con un salto su un altro monte distante due tiri di balestra. E c’è la valle in mezzo». Sulla carta tra i due monti ci sono più di 350 m di distanza e quasi 150 di dislivello!
Se a qualcuno venisse voglia di visitare questo luogo la cosa gli si presenterebbe subito come non facile. La via più breve, dal basso, è interrotta da reti e filo spinato, per non parlare del danno prodotto dalla grande cava. Dall’alto, la stretta strada asfaltata che esisteva in precedenza, è interrotta e chiusa in più punti con barriere di ferro e grossi blocchi di pietra, ma a piedi si può percorrere in una ventina di minuti. Partendo dalla strada di circonvallazione, si prosegue fino alla scomparsa della strada dove, a sinistra, una scala di ferro, arrugginita e pericolante, aiuta a scendere nel letto del wadi per arrivare alla grotta preistorica, che mantiene un aspetto impressionante. A destra, un breve ma ripido sentiero porta alla base di una rustica scalinata in pietra sulla cui sommità c’è uno spiazzo minuscolo proprio davanti alla grotta ricordata come il rifugio di Nostro Signore. Si vedono molti segni e graffiti sulla roccia, soprattutto presso l’altare, un ripiano irregolare della roccia. Tutto intorno ci sono rovine di muri e cisterne dell’antico monastero. I resti di mosaico e ceramica mescolati alla terra si riconoscono agevolmente come appartenenti al periodo di cui abbiamo le notizie.