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Il Medio Oriente di Obama

30/01/2009  |  Milano
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Il Medio Oriente di Obama
Il presidente statunitense Barack Obama nell'intervista del 26 gennaio scorso alla tivù Al Arabiya.

L'intervista rilasciata il 26 gennaio scorso alla televisione Al Arabiya dal nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha segnato un punto di svolta per i rapporti con il mondo islamico? E i primi passi compiuti dall'inviato americano George Mitchell sono davvero l'inizio di una nuova politica in Medio Oriente? Sono domande sulle quali i giornali arabi si dividono in queste ore.


L’intervista rilasciata il 26 gennaio scorso alla televisione Al Arabiya dal nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha segnato un punto di svolta per i rapporti con il mondo islamico? E i primi passi compiuti dall’inviato americano George Mitchell sono davvero l’inizio di una nuova politica in Medio Oriente? Sono domande sulle quali i giornali arabi si dividono in queste ore.

Prendiamo due esempi. Su Arab News è a dir poco entusiastico il commento di Aijaz Zaka Syed. «Dobbiamo essere grati a George W. Bush per averci fatto capire con la sua presidenza quanto la politica di Obama sia diversa», arriva addirittura a scrivere. Di segno opposto sull’agenzia palestinese Maan il commento di Ramzi Baroud: «Delle parole di Obama sul Medio Oriente è interessante il fatto che abbia iniziato dicendo «Voglio essere chiaro» e sia andato avanti ripetendo quello che gli Stati Uniti hanno sempre detto. E comunque – come diceva una donna di Gaza – "Obama non mi ridà certo mio marito morto in questa guerra"». È la solita questione del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Certo, il gesto di andare in televisione a parlare direttamente al mondo arabo è stato forte. Ma adesso bisognerà vedere i fatti. E da questo punto di vista conta molto di più la nomina di George Mitchell a inviato per il Medio Oriente.

L’anziano senatore americano ha il pregio – non da poco – di conoscere molto bene la questione israelo-palestinese. Alla fine del 2000 – subito dopo i primi fuochi della seconda intifada – fu incaricato da Bill Clinton di stendere insieme a israeliani e palestinesi un rapporto sulle cause della rivolta. Il «Rapporto Mitchell» è puntualmente citato dai filo-israeliani per la frase in cui dice che «la visita di Sharon alla Spianata delle Moschee non è stata la causa dell’intifada». Peccato, però, che sia una citazione tronca. Perché nel rapporto in realtà la frase va avanti, dicendo che comunque quella visita aveva un intento provocatorio e andava evitata. Da buon mediatore in quell’occasione Mitchell diede un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Ma il suo Rapporto in realtà era ben più interessante, perché cercava di analizzare le cause politiche che avevano portato al clima di sfiducia reciproca che aveva portato al fallimento dei negoziati di Camp David e all’intifada.

Nominando Mitchell, Obama mostra di volere ripartire da lì. E questa è indubbiamente una scelta importante. Anche se oggi – con realismo – bisogna anche dire che il compito di Mitchell sarà solo quello di mantenere aperta la possibilità di un processo di pace. Sull’immediato non c’è infatti da farsi grandi illusioni. Dopo le elezioni del 10 febbraio Israele avrà un governo guidato da Netanyahu e probabilmente con dentro anche Avigdor Lieberman e una rappresentanza di Kadima molto più debole di oggi. Dall’altra parte il 22 febbraio ricomincerà al Cairo l’estenuante trattativa per un governo di unità nazionale palestinese. In queste condizioni un negoziato è impensabile. Mitchell cercherà probabilmente di fare diga contro l’espansione degli insediamenti. E in questo potrebbe dargli una mano un rapporto segreto rimasto per anni nel cassetto e oggi pubblicato da Haaretz. Sono dati raccolti dal ministero della Difesa israeliano che confermano ciò che Peace Now dice da anni: gli insediamenti nei Territori sono cresciuti anche fuori dalle stesse regole dettate dalle leggi israeliane. E violando impegni precisi sottoscritti con gli Stati Uniti. Questo oggi è il banco di prova per far vedere se l’America di Obama ha intenzione davvero di cambiare marcia sul Medio Oriente.

Clicca qui per leggere l’articolo di Arab News

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Clicca qui per leggere l’articolo di Haaretz

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