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Hebron, la polveriera

05/12/2008  |  Milano
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Alla fine l'evacuazione della Peace House a Hebron è arrivata. Nel primo pomeriggio di ieri è scattato il blitz a sorpresa durato appena mezz'ora. Ma non è finita lì: perché in risposta i coloni di Hebron poi si sono scagliati contro le case dei palestinesi. E adesso in tutta la Cisgiordania la tensione è altissima. Come al solito i giornali italiani non si accorgono che a Hebron si sta giocando una partita decisiva e molto rischiosa. Basterebbe invece leggere i giornali israeliani per rendersene conto.


Alla fine l’evacuazione della Peace House a Hebron è arrivata. Nel primo pomeriggio di ieri è scattato il blitz a sorpresa durato appena mezz’ora. Ma non è finita lì: perché in risposta i coloni di Hebron poi si sono scagliati contro le case dei palestinesi. E adesso in tutta la Cisgiordania la tensione è altissima. Come al solito i giornali italiani non si accorgono che a Hebron si sta giocando una partita decisiva e molto rischiosa. Basterebbe invece leggere i giornali israeliani per rendersene conto.

Durissima l’analisi di Haaretz, che per l’occasione sfodera una di quelle parole che se utilizzate in Italia scatenerebbe un putiferio. «Non c’è altra parola che pogrom per descrivere il comportamento dei coloni a Hebron» si intitola l’articolo di Avi Issacharoff. Un articolo in cui racconta come un gruppo di giornalisti sia dovuto intervenire per strappare una famiglia palestinese dalle mani violente dei coloni. La descrizione è cruda e rende molto bene l’idea. Ma è proprio la parola pogrom utilizzata per Hebron a fare impressione. Perché il riferimento immediato è alla strage del 1929, compiuta dagli arabi contro gli ebrei proprio nella città dei patriarchi. Una violenza costata 67 morti e che in Israele è considerata, appunto, il pogrom arabo per antonomasia. C’è però un dettaglio che va aggiunto: anche questa volta il grosso dei violenti erano ragazzini, mandati a «difendere» Hebron dalle loro yeshiva, le scuole dei religiosi. La stessa cosa era successa tre anni fa in occasione dello sgombero a Gaza. Quando le solerti agenzie che non mancano mai di raccontarci come le scuole palestinesi educano all’odio si decideranno a mettere il naso anche in questi istituti?

Tutta colpa dei coloni, dunque? Non è così. Perché in questa vicenda anche la politica ha le sue responsabilità. Lo dice bene su Yediot Ahronot Ron Ben-Yishai. Se si è arrivati a questo punto e i coloni hanno potuto far diventare un simbolo la Peace House è solo perché il governo Olmert non ha fatto quanto sarebbe stato ovvio: sgomberare subito l’immobile, come la legge imponeva. È il governo di Israele che deve decidere la politica sugli insediamenti. E non è ammissibile che in un posto cruciale per il conflitto come è Hebron possa passare il principio che un gruppo di ebrei può comprare casa dove gli pare, come se fosse una tranquilla zona residenziale di Tel Aviv. Questo è la legge di Israele a non permetterlo, stabilendo che ogni nuovo insediamento nei Territori deve avere prima un via libera dal governo. Ma la legge nei Territori è rimasta a lungo lettera morta. Così – come su troppe vicende accade in Israele – si è passata la patata bollente alla Corte Suprema. Con le conseguenze disastrose che oggi vediamo.

Condanna le violenze dei coloni anche il quotidiano più vicino alla destra, il Jerusalem Post. Dicendo chiaramente che queste violenze alla fine si ritorcono contro tutti gli israeliani che vivono nei Territori. Di questo commento è interessante però soprattutto la fine, dove si ricorda che comunque gli ebrei devono poter venerare la tomba di Abramo a Hebron. Principio importante e più che condivisibile. Il problema però è un altro: l’insediamento di cinquecento coloni estremisti in mezzo a decine di migliaia di palestinesi è il modo migliore per garantire questo diritto?

Infine un’ultima segnalazione inquietante viene da Maan, l’agenzia di informazione palestinese. Ieri sera ha diffuso la notizia di un comunicato delle Brigate dei martiri di Al Aqsa e dei Comitati di resistenza popolare in cui queste due formazioni si «scusano» con la popolazione di Hebron per non essere riusciti a difenderli dalla violenza dei coloni. E promettono che risponderanno a ulteriori attacchi. Si è scherzato troppo a lungo con il fuoco a Hebron. Adesso rischiamo di pagarne le conseguenze.

Clicca qui per leggere l’articolo di Haaretz

Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot

Clicca qui per leggere l’articolo del Jerusalem Post

Clicca qui per leggere la notizia di Maan

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