Non è la prima volta. Ma la speranza è sempre che sia l’ultima. La «scazzottata» al Santo Sepolcro tra monaci armeni e greco-ortodossi, mostrata in tivù in ogni angolo del Globo, ha proiettato un’ombra di discredito sulla presenza cristiana in Terra Santa (anche se i cattolici, rappresentati dai francescani, non hanno avuto nessuna parte nell’episodio). Come – si chiede la gente – proprio nel luogo più santo, la tomba vuota di Cristo, i cristiani se le suonano di santa ragione?
L’episodio (scatenato dalla «pretesa» dei greci-ortodossi di mantenere un sacrestano nel Sepolcro durante la liturgia degli armeni) si inquadra nella complessa situazione che le Chiese si trovano a vivere nei Luoghi Santi e nella logica del cosiddetto status quo, un insieme di consuetudini che risale alla dominazione ottomana. Lo status quo non è una legge, ma una sorta di tregua tra le comunità cristiane all’interno dei Luoghi Santi. E come ogni tregua, anche lo status quo è frutto di un compromesso e presta purtroppo il fianco a violazioni e incomprensioni.
Il triste evento, accaduto il 9 novembre scorso di fronte a centinaia di pellegrini attoniti, è sicuramente una pesante forma di contro-testimonianza. Ma deve essere colto come uno stimolo a non fermarsi, e a proseguire con determinazione sulla strada del dialogo tra le comunità cristiane. Che non sono – neppure a Gerusalemme – esenti dal peccato e dalle passioni che agitano il cuore dell’uomo.
La vita all’interno della basilica della Resurrezione è soprattutto fatta di cordialità e convivenza. Ma solo la conoscenza più profonda, la condivisione, la comprensione reciproca, il riconoscimento dell’unica fede, potranno scongiurare altri eventi simili. Restituendo all’unica comunità dei figli di Dio la credibilità che deriva dalla stima e dalla concordia.