«Una porta che si è aperta». Un «ponte che è stato gettato» dopo fratture e divisioni. «Un primo passo, al quale dovranno seguirne altri». Il primo Forum islamo-cattolico che ha visto riunito per tre giorni in Vaticano leader musulmani e cattolici si è concluso oggi con un nuovo appello di Benedetto XVI «per la libertà di coscienza e libertà di religione» e una Dichiarazione comune di princìpi che comprendono l'affermazione della libertà di culto «in pubblico e in privato». Una formulazione che è costata una lunga trattativa, rivela a margine dell'incontro padre Samir Khalil Samir, docente di Islamistica all'Università Saint Joseph di Beirut.
«Una porta che si è aperta». Un «ponte che è stato gettato» dopo fratture e divisioni. «Un primo passo, al quale dovranno seguirne altri». Il primo Forum islamo-cattolico che ha visto riunito per tre giorni in Vaticano leader musulmani e cattolici si è concluso oggi con un nuovo appello di Benedetto XVI «per la libertà di coscienza e libertà di religione» e una Dichiarazione comune di princìpi che comprendono l’affermazione della libertà di culto «in pubblico e in privato». Una formulazione che è costata una lunga trattativa, rivela a margine dell’incontro padre Samir Khalil Samir, docente di Islamistica all’Università Saint Joseph di Beirut. Ma è stato un incontro, ribadisce l’islamista e presidente della Islamic Society of North America, Ingrid Mary Mattson, «sul quale è aleggiato per tre giorni lo Spirito di Dio».
Il seminario a porte chiuse Amore di Dio, amore del prossimo – organizzato in seguito alla Lettera aperta Una parola in comune tra noi e voi indirizzata il 13 ottobre 2007 a Benedetto XVI e agli altri massimi responsabili della cristianità da 138 personalità musulmane (ora sono 275) – si è concluso con un appuntamento fra due anni in un Paese a maggioranza musulmana e un clima di concordia «sull’imperativo categorico di lavorare per la pace, la comprensione, il rispetto della sacralità della vita e della stessa dimensione religiosa della vita» in un mondo sempre più lontano dalla fede. Per due giorni 29 esperti per ogni delegazione hanno affrontato «una discussione appassionata, approfondita e franca», nelle parole dei protagonisti, prima sui «fondamenti teologici e spirituali» delle due fedi, poi sulla «dignità della persona umana e mutuo rispetto».
Per il prof. Ali Aref Nayed, consulente dell’università di Cambridge per il Dialogo interreligioso, «dopo il discorso di Ratisbona si è messo in moto un processo di guarigione e di riavvicinamento ed il fatto stesso che sia stato nuovamente istituito il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e che sia guidato da un diplomatico illuminato come il cardinal Jean Louis Tauran rappresenta un segnale della ricerca di un sincero dialogo con il mondo musulmano». E quanto all’appello del Papa per la reciprocità della libertà di culto, «anche noi musulmani – dice – siamo spesso minoranze in Paesi a maggioranza cattolica, dove, in passato, abbiamo fatto esperienza di oppressione e discriminazione e in questi ultimi anni di islamofobia: per questo non possiamo che apprezzare la libertà di religione per tutti».
Ma, al di là dell’accordo sui princìpi, la Dichiarazione che era stata abbozzata prima dell’incontro ha richiesto lunghe revisioni incrociate prima di arrivare alla versione definitiva resa nota oggi nella sessione conclusiva alla Pontificia Università Gregoriana. E non è un caso che le frizioni maggiori si siano registrate proprio sul quinto principio, quello che riconosce «il rispetto delle scelte della persona in materia di coscienza e religione» (non è chiaro se includa anche il diritto di cambiare religione) e «il diritto di individui e comunità di praticare la loro religione in pubblico e in privato».
«A un certo punto sembrava che tutto si bloccasse – racconta il professore egiziano padre Samir Khalil Samir, da molti anni una figura di spicco del dialogo islamo-cristiano – quando il capo della delegazione musulmana, il Gran Muftì di Bosnia ed Erzegovina Sheikh Mustafa Cerić ha detto: "ma quella è la formula dell’Onu, ed è stata riconosciuta dai governi di tanti Paesi musulmani, quindi possiamo accettarla"». «Il motivo di contrasto, da quel che ho capito – prosegue padre Samir – non era teologico ma politico: alcuni di questi imam si chiedevano: "Come faccio quando rientro nel mio Paese? Questo è un problema politico. Se il mio Paese non accetta questa formula, come posso diffondere questo documento?". Si è visto che questo era un problema reale. E allora è stato stabilito di comune accordo: per favore, che nessuno usi questo documento come un vessillo di battaglia, o brandendolo come fosse la vittoria di una campo sull’altro, ma piuttosto cerchiamo con discrezione il modo di far passare questa Parola comune che abbiamo cercato di raggiungere in due giorni».
Tale conclusione dimostra per padre Samir che il clima «di fraternità, di fiducia e di franchezza» è stato il risultato «essenziale» di questi tre giorni. «Io penso che il modo in cui abbiamo trovato un accordo sulla dichiarazione finale è stato ancora più positivo, perché si è visto che il dialogo non vuol dire fare concessioni reciproche, di scambio, ma è piuttosto che ciascuno, mantenendo il suo punto di vista, si sforzi di trovare un linguaggio comune».
Un incontro, rimarca il cattedratico, che deve necessariamente puntare a raggiungere la base perché «investire energie, tempo, viaggi, sforzo intellettuale per spendersi nel confronto è qualcosa che non si fa per parlare tra amici ma per un servizio alla comunità, cristiana o musulmana. Dunque se facciamo tutto questo sforzo culturale è perché abbiamo una missione e non per turismo. La cosa importante è il processo che si è messo in moto».
«Se una porta si apre, vuol dire non è più chiusa e che si può attraversare in direzione dell’altro» gli fa eco il vicario apostolico d’Arabia, mons. Paul Hinder. «Ovviamente siamo consapevoli che questa è una esperienza molto limitata, prima di tutto perché mancano fra noi altri leader cristiani, non cattolici, e poi perché anche fra i musulmani abbiamo un gruppo selezionato di intellettuali che certamente non rappresentano la totalità dell’ampio mondo musulmano. Tuttavia quanto abbiamo vissuto in questi giorni è essenziale – spiega – perché è il primo passo di un cammino che magari a lungo termine ci aiuterà a superare certi pregiudizi, a capirci meglio, a superare dei blocchi che ancora ci sono, a curare ferite che stanno ancora sanguinando fra Cristiani e musulmani».
Vari relatori hanno confermato che il clima di grande apertura e franchezza era tutt’altro che scontato, se si considera che l’obiettivo era ricucire gli strappi dopo il discorso di Ratisbona e superare le nuove reazioni negative scatenate dal clamoroso battesimo del giornalista di origini egiziane Magdi Allam durante l’ultima veglia pasquale in San Pietro. «Credo che il fatto stesso che questa iniziativa sia venuta dai leader musulmani di tutto il mondo verso le comunità cristiane – dice la presidente dei musulmani nordamericani, Ingrid Mary Mattson – dimostra un grande desiderio da parte delle comunità islamiche di avere relazioni migliori con il mondo cristiano. È un appello che viene dal cuore stesso dell’Islam e penso che in questa occasione abbiamo creato grandi opportunità di lavorare insieme su temi specifici da concordare. E debbo dire che in questi tre giorni abbiamo davvero sentito la mano di Dio su questo progetto».