Appena entri in città dal check-point 381 – un imponente sistema di sicurezza fatto di porte, muri e sistemi di controllo elettronici – ti accoglie, dipinta sul muro, una colomba con un ramo d’ulivo nel becco e indosso un giubbotto antiproiettile. È il simbolo quanto mai eloquente del clima che regna oggi nella città che ha dato i natali a Gesù.
Da una parte la speranza della pace, dall’altra la cruda realtà del conflitto.
La costruzione del muro prosegue, la situazione economica (nonostante una massiccia ripresa dei pellegrinaggi) è ancora problematica, le fazioni fondamentaliste islamiche non perdono occasione di soffiare sul fuoco dello scontro. Il processo di pace sembra essere ad un punto morto, nonostante le assicurazioni dell'(ex) presidente George W. Bush, l’impegno del leader palestinese Abu Mazen e i proclami del governo israeliano.
La realtà di Betlemme è oggettivamente dura. Eppure in città non mancano i segni di speranza: uomini e donne che si impegnano ogni giorno per costruire un domani, non rassegnandosi all’oppressione e alla chiusura. Uomini e donne che, da cristiani, accettano di vivere le contraddizioni, cercando di cambiare la realtà, gettando continuamente «sguardi oltre il muro». Non per fuggire o per incoraggiare a farlo, quanto piuttosto per educarsi a portare serenamente ciascuno la propria croce, ben sapendo che arriverà il giorno della risurrezione.
È di questi cristiani e della loro vita quotidiana che vogliamo parlare in questo dossier, frutto di due soggiorni a Betlemme, nel maggio e nell’ottobre di quest’anno. A tutti coloro che si sono resi disponibili ad ascoltarmi e ad aiutarmi, va un sentito grazie.