In poche pagine, questo libro ci offre la testimonianza di Mirjam Viterbi Ben Horin, che nel 1943 - quando aveva dieci anni - sfollò ad Assisi con la famiglia, che cercava di sottrarsi all'odio antiebraico imperversante. Scritto senza orpelli molti anni dopo gli eventi, il racconto di quell'esperienza conserva la freschezza con cui gli occhi di una bimba osservavano cose e persone. Queste pagine commuovono restituendoci la testimonianza di connazionali che in momenti bui della Storia seppero scegliere, con spontanea e limpida coscienza, la via dei giusti.
Sta in borsetta o nella tasca del giubbotto senza quasi farsi notare, proponendosi in veste modesta ma non dimessa. A questo libro bastano le sue poche decine di pagine per far bene al cuore.
Ce le regala Mirjam Viterbi, coniugata Ben Horin, che aveva dieci anni nel 1943. Di suo padre, prestigioso docente universitario, le leggi razziali del ’38 avevano fatto un reietto. Da quel momento Padova, città in cui la famiglia conduceva un’agiata esistenza da proprietari terrieri, s’era fatta via via sempre più ostile. Al punto che Mirjam, la sorella Graziella e i genitori dovettero abbandonare tutto nel ’43 e sfollare ad Assisi, fuggiaschi anch’essi, come molti altri ebrei d’Italia e d’Europa.
Il piccolo centro umbro fu scelto anche per la «grande empatia» che «mio padre da sempre nutriva per la figura di san Francesco», annota l’Autrice. Un’amicizia spirituale che durante il lungo soggiorno alle pendici del Subasio abbraccerà la stessa Mirjam.
Scritto senza orpelli a molti, molti anni di distanza dagli eventi, il racconto di quell’esperienza conserva la freschezza con cui gli occhi di una bimba osservavano cose e persone. Queste pagine ci restituiscono la testimonianza di connazionali – laici, frati ed ecclesiastici – che in momenti bui della Storia seppero scegliere, con spontanea e chiara coscienza, con chi stare. A se stessi assegnarono il compito di proteggere, anche rischiando le proprie, le vite di chi allora era debole. In noi lettori d’oggi quei semplici, o autorevoli, cittadini d’Assisi, ormai resi muti dalla morte, evocano il fascino delle scelte sapide.