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Un Oktoberfest palestinese

14/10/2008  |  Taybeh (Cisgiordania)
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Un <i>Oktoberfest</i> palestinese

Nel fine settimana 11 e 12 ottobre si è svolto, nel villaggio di Taybeh, il quarto Oktoberfest in versione palestinese. «È un'idea che ovviamente ho copiato dalla Germania» dice Nadim Khoury, proprietario e fondatore della Taybeh, fabbrica di birra con lo stesso nome del villaggio, attiva dal 1995. Birra e villaggio sono oggi inscindibilmente legati. L'Oktoberfest è un evento che coinvolge tutta la cittadinanza, dalla municipalità alle associazioni di donne, dagli scout alle Chiese locali e, ovviamente, ai commercianti, che in due giorni guadagnano più che in un anno intero.


Taste of revolution («Sapore di rivoluzione»): questa è la scritta che campeggia su un enorme pannello pubblicitario, a fianco di… una bottiglia di birra. Siamo a Taybeh, piccolo villaggio nei pressi di Ramallah, dove sabato 11 ottobre e domenica 12 si è svolta la quarta Oktoberfest in versione palestinese.

«È un’idea che ovviamente ho copiato dalla Germania» ci dice Nadim Khoury, proprietario e fondatore della Taybeh, fabbrica di birra con lo stesso nome del villaggio, attiva dal 1995. «Volevo però mettere a punto uno stile palestinese, dal momento che ho dato alla birra il nome del villaggio, e che questo è diventato famoso proprio grazie alla birra. Prima non era nemmeno segnato sulle mappe!». Birra e villaggio sono oggi inscindibilmente legati. L’Oktoberfest è un evento che coinvolge tutta la cittadinanza, dalla municipalità alle associazioni di donne, dagli scout alle Chiese locali (cattolica e ortodossa) e, ovviamente, ai commercianti, che in due giorni guadagnano più che in un anno intero.

Il forte coinvolgimento si vede subito arrivando al festival: si beve questa ottima birra a fermentazione naturale, alla spina, in bottiglia, scura, ambrata e bionda, ma si respira aria di Palestina. Taybeh è uno dei pochi villaggi palestinesi a maggioranza cristiana, con ben cinquemila anni di storia alle spalle. Il suo nome originale era Ofra (Ophrah) e poi Efraim, citato nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Oggi è un villaggio dinamico, dove le religioni e le culture si mescolano e si arricchiscono a vicenda. Il colore arabo della festa è però inconfondibile: gli stand gastronomici sono presi d’assalto da centinaia di persone – turisti ma anche palestinesi – che gustano falafel, shawarma, kebab, lupini e pizza in versione locale, il tutto annaffiato ovviamente da litri di birra. E sul palco si alternano ballerine e ballerini provenienti dai diversi villaggi dei dintorni e dai campi profughi, che offrono spettacoli di danze tradizionali, musicali e teatrali. In buona compagnia di una delegazione di tedeschi bavaresi, costumi tradizionali e pance adeguate, così sorpresi di trovare in Palestina una birra che riesce e tenere testa alle loro rinomate marche. Ma la festa è anche un’occasione per i piccoli artigiani locali di vendere, in grande quantità, i loro prodotti: sapone, spezie, miele, olio di oliva, ricami e Lampade della pace, (manufatti in ceramica a forma di colomba inventati dal responsabile della parrocchia latina, padre Raed Abu Sahlia, che dal 2001 ha messo in piedi un laboratorio per la fabbricazione delle lampade onde dare lavoro alla gente di Taybeh).

Insomma, anche quest’anno il festival è stato un successo, come del resto è un successo l’impresa della birreria. «All’inizio nessuno credeva in me» spiega Nadim Khoury. «Tutti pensavano che fosse una follia aprire la prima fabbrica di birra in Palestina, ma io ero convinto e non ho dato retta a nessuno. Ho fatto della Taybeh il prodotto palestinese più famoso. Esportiamo in Giappone, Germania, Belgio e Gran Bretagna». «E in Israele?», azzardiamo una domanda delicata. Khoury ammette: «I rapporti commerciali con gli israeliani non sono facili, ma i nostro clienti apprezzano la qualità del prodotto. Quando iniziammo, nel 1995, il 70 per cento della nostra produzione andava in Israele. Dopo la seconda intifada i commerci sono caduti, e ora vendiamo in Israele il 30 per cento della nostra produzione. I grossi problemi sono per la produzione e la vendita, ci spiega ancora il proprietario: «Prima di tutto abbiamo sempre questioni per l’importazione delle materie prime; la Palestina non ha un porto o un aeroporto e così dobbiamo passare per Israele e ci fanno sempre molte difficoltà. Non parliamo dei check point lungo il Muro… Ma come vede ce la caviamo egregiamente", conclude Khoury affondando i suoi spessi baffi nella schiuma di un boccale di Taybeh. Prosit!

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