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Il Santo Sepolcro e il monastero di Deir al-Sultan

09/10/2008  |  Gerusalemme
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Il Santo Sepolcro e il monastero di Deir al-Sultan
La basilica del Santo Sepolcro e il suo sagrato. Sul tetto sorge il monastero di Deir al-Sultan, dove vivono i monaci etiopi. (foto E. Bermejo)

Sopravvalutati i rischi di «cedimento strutturale» per il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il 7 ottobre il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un articolo dai contenuti e dai toni preoccupanti  per tutti i credenti della cristianità. Nell'articolo si paventava il crollo del monastero Deir al-Sultan, costruito nel diciannovesimo secolo sul tetto del Santo Sepolcro di Gerusalemme e abitato da una piccola comunità di monaci della Chiesa etiope. Secondo fonti autorevoli, invece, la complessa struttura del Santo Sepolcro non correrebbe rischi.


Sopravvalutati i rischi di «cedimento strutturale» per il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il 7 ottobre il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un articolo dai contenuti e dai toni preoccupanti  per tutti i credenti della cristianità. Nell’articolo si paventava il crollo del monastero Deir al-Sultan, costruito nel diciannovesimo secolo sul tetto del Santo Sepolcro di Gerusalemme e abitato da una piccola comunità di monaci della Chiesa etiope.

«Le due cappelle e le celle del monastero potrebbero frantumarsi, ferendo i molti turisti che visitano il sito, gli stessi monaci che lo abitano; e danneggiando anche l’antica chiesa del Santo Sepolcro», ammoniva l’articolo. «Il complesso versa in uno stato pericoloso – dichiarava secondo Haaretz il rapporto commissionato dalla Chiesa etiope alla società di ingegneria israeliana Milav -: le costruzioni sono piene di danni strutturali che mettono a rischio la vita dei monaci che ci vivono e dei visitatori del monastero. È una vera emergenza, anche per via dei danni che un crollo del monastero potrebbe produrre ad altre parti delle chiese circostanti».

Secondo fonti autorevoli, invece, la complessa struttura del Santo Sepolcro non correrebbe rischi così definitivi. Resta il fatto che le stanze dei monaci etiopi sono in pessime condizioni, ma ciò non costituirebbe un rischio reale per l’incolumità dei religiosi e per quella dei turisti; né andrebbe interpretato come l’allarme di un crollo imminente.

Quello che è grave della situazione di degrado del monastero di Deir al-Sultan, invece, è che dura da diversi anni e tutti ne sono al corrente. Fin qui nessuno è intervenuto con opere di ristrutturazione per ragioni di caerattere giuridico. Qualsiasi intervento di restauro spetterebbe unicamente al legittimo proprietario. Qui sorge il problema: la proprietà di Deir al-Sultan è contesa tra la Chiesa etiope e quella copta e la diatriba è irrisolta. Per la Chiesa etiope – il cui diritto a disporre del monastero non è riconosciuto unanimemente – aprire il cantiere di un restauro significherebbe aggravare quello che è già oggi un caso delicato nei rapporti ecumenici.

Secondo il quotidiano Haaretz il ministero dell’Interno israeliano, sollecitato dai vertici della Chiesa etiope di Gerusalemme, avrebbe ribadito la disponibilità, già espressa in passato, a finanziare i restauri necessari per il mantenimento del monastero di Deir al-Sultan, ma solo dopo che siano definitivamente chiariti i termini relativi alla proprietà.

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