«Siamo i cristiani di san Paolo, i cristiani “più vecchi del mondo”». Abuna Hanna ride con gusto, mentre mi guida a visitare la parrocchia e i nuovi locali del centro giovanile. Siamo a Knaye, un villaggio interamente cristiano della valle dell’Oronte, un migliaio o poco più di anime nella Siria settentrionale, a due passi dalla Turchia. Il fiume Oronte, prima di raggiungere Antiochia e gettarsi nel Mediterraneo, taglia in due la vallata come una lama. Da una parte e dell’altra piante di olivo a perdita d’occhio.
I frati minori della Custodia di Terra Santa sono presenti nella valle dell’Oronte da oltre 125 anni. Il convento, il centro giovanile, l’asilo e l’ambulatorio di Knaye, gestito dalle suore francescane, sono anche oggi il centro della vita del villaggio, che conserva con orgoglio una forte identità cristiana e ha fornito alla Chiesa siriana molte vocazioni sacerdotali e religiose, sia maschili sia femminili.
«Secondo la tradizione – mi spiega con orgoglio padre Hanna Jallouf – san Paolo dopo aver avuto la notizia e la gioia di poter convertire gli elleni al cristianesimo, si recò da Gerusalemme verso Antiochia. Allora c’erano tre strade che collegavano Apamea ad Antiochia. Una era la strada militare verso Aleppo, un’altra passava vicino al corso dell’Oronte, per sei mesi impraticabile a causa delle piene; una terza passava proprio dietro questa collina. Senz’altro san Paolo è passato di qua, evangelizzando queste terre. Insomma, siamo certamente i discendenti dei primi cristiani converti dall’apostolo missionario».
Abuna Hanna (cioè padre Giovanni) è un francescano siriano dalla carica travolgente. Ad Amman (Giordania) è stato direttore del prestigioso Collegio di Terra Santa, ma ora si trova benissimo tra le montagne dell’Oronte. «La mia famiglia proviene da queste valli e per me è stato un gradito ritorno a casa. Ma anche una nuova sfida, perché i villaggi dell’Oronte, un tempo il fiore all’occhiello del cattolicesimo di Siria, stanno conoscendo oggi una pesante diaspora… I giovani se ne vanno in cerca di lavoro e di fortuna. E questo indebolisce le comunità cristiane, mette in pericolo l’esistenza stessa delle nostre chiese. Di fronte a questa situazione, serve nuovamente scommettere sul futuro».
«Nel 1967 – spiega abuna Hanna – dopo la sconfitta nella guerra dei Sei giorni, il governo di Damasco pensò di nazionalizzare terreni e patrimoni privati. Con l’idea di educare la gioventù al socialismo, confiscò anche le scuole. In questo modo tolse a noi cristiani la possibilità di avere un legame diretto con la gioventù attraverso la scuola. Come conseguenza della chiusura delle scuole, abbiamo avviato in tutte le parrocchie i centri di catechesi, che sono diventati i veri motori delle nostre comunità. Questi centri accolgono i ragazzi dalla comunione fino all’università, e poi ospitano i movimenti operai e le associazioni. Oggi questi centri parrocchiali sono sempre più alla ricerca di spazi dove poter organizzare attività estive, giornate di ritiro e di spiritualità. Ecco allora che per noi si apre una nuova fase e si offre una nuova possibilità».
Dalla vicina chiesa arrivano le voci del coro che prova per la celebrazione domenicale; nel cortile della parrocchia i ragazzi organizzano invece una partita di calcio; abuna Hanna, seduto nella poltrona dell’ufficio parrocchiale, spiega la sua strategia. «Potrà sembrare banale o scontato per chi viene da un’altra realtà ecclesiale, ma la nostra carta vincente oggi è l’oratorio. Stiamo lavorando per rendere sempre più accogliente la parrocchia: un campo di calcio, spazi per la ricreazione. Appunto con un duplice scopo: formare i nostri ragazzi e le nostre ragazze, ma anche offrire a chi viene dalla città, specie da Aleppo, un’occasione di fraternità, di svago e di riflessione».
A preoccupare padre Hanna sono soprattutto i giovani e le famiglie. «Nella nostra provincia non ci sono fabbriche, scuole superiori e men che meno università. È logico che i giovani che non restano a lavorare i campi accarezzino l’idea di andarsene altrove. Oggi ci sono più orontini ad Aleppo che nelle nostre valli. Per arginare questa diaspora, dobbiamo dare impulso all’economia dei nostri villaggi… Servirebbero piccole imprese, artigianato, cooperative di lavoro, iniziative di microcredito… Come parrocchia sto cercando di mettere a punto un programma di aiuto per le giovani famiglie, in modo che abbiano le risorse per trovare una casa e per avviare un lavoro. In loro, nei giovani che accettano di restare qui, risiedono le nostre speranze».