Israele andrà alle urne il 10 febbraio per eleggere il suo nuovo parlamento. A Gerusalemme fioccano già i sondaggi. Nonostante sia uscita rafforzata dal modo in cui ha gestito le trattative, Tzipi Livni in questa campagna elettorale parte sfavorita. Perché è vero che i primi sondaggi danno a Kadima lo stesso numero di seggi rispetto al 2006 (un risultato impensabile fino alle dimissioni di Olmert); ma questo recupero sta avvenendo ai danni dei laburisti di Barak. Anche a destra - però - il favorito Nethanyahu non ha troppo da sorridere. Perché comunque il Likud non vola.
Dunque Israele andrà alle urne il 10 febbraio per eleggere il suo nuovo parlamento. In Medio Oriente settanta giorni sono un’eternità. Comunque a Gerusalemme fioccano già i sondaggi. Nonostante sia uscita rafforzata dal modo in cui ha gestito le trattative, Tzipi Livni in questa campagna elettorale parte comunque sfavorita. Perché è vero che i primi sondaggi danno a Kadima lo stesso numero di seggi rispetto al 2006 (un risultato impensabile fino alle dimissioni di Olmert); ma questo recupero sta avvenendo ai danni dei laburisti di Barak. Anche a destra – però – il favorito Nethanyahu non ha troppo da sorridere. Perché comunque il Likud non vola. E dunque – se come a oggi appare probabile – la destra vincerà le elezioni, Nethanyahu dovrà comunque guidare una coalizione molto eterogenea. In cui i partiti religiosi conteranno più che al tempo del suo primo mandato da premier.
In questa situazione – come racconta l’articolo del Jerusalem Post che oggi rilanciamo – gli strateghi dei principali leader israeliani si interrogano sull’ipotesi di tenere dei dibattiti televisivi tra candidati premier. A lanciare la proposta è stato Barak, che nella situazione disperata in cui si trovano i laburisti è quello che non ha niente da perdere. Il problema è che fu proprio Barak, nel 1999, a disertare l’ultimo confronto televisivo che la politica israeliana abbia conosciuto. Lasciò la sedia vuota e furono solo Nethanyahu e Mordechai a confrontarsi. E quella scelta pagò: i laburisti vinsero e Barak divenne primo ministro. Nove anni dopo, che cosa gli risponderanno la Livni e Nethanyahu? Il Jerusalem Post sostiene che comunque vadano le cose difficilmente il dibattito sarebbe uno spettacolo edificante. Israele non può contare su una tradizione come quella degli Stati Uniti, dove questi eventi sono davvero un’opportunità per gli elettori. Del resto – come lo stesso quotidiano riferisce sempre in un altro articolo – la disaffezione per la politica nel Paese continua a crescere: un sondaggio condotto da un istituto di ricerca dice che alle elezioni del 10 febbraio 2009 per la prima volta il numero dei votanti potrebbe scendere sotto il 60 per cento.
Ma come si guarda nei Territori palestinesi a questa lunga campagna elettorale israeliana? Sul sito Miftah Nadia W. Awad gioca con le definizioni, ribaltando uno slogan classico di Israele: adesso – sostiene – «è la Palestina a non avere più un partner nel processo di pace». Il riferimento è al processo avviato ad Annapolis. Che non solo ora è fermo, ma nel caso di una sconfitta della Livni potrebbe non ripartire nemmeno più.
Di certo c’è comunque il fatto che – esattamente come accaduto nel 2006, quando arrivarono subito dopo la vittoria di Hamas alle legislative – anche questa volta le elezioni israeliane si intrecceranno con scadenze importanti per la politica palestinese. Perché il 10 febbraio 2009 cade appena un mese dopo la scadenza del mandato presidenziale di Abu Mazen. Una data chiave per l’Anp. Ed è proprio per via dell’avvicinarsi di questa scadenza che sono ripresi al Cairo i negoziati tra le fazioni palestinesi. Domenica scorsa – come riferisce l’articolo del settimanale egiziano Al Ahram Weekly – è stata raggiunta un’intesa di massima su una bozza di accordo, che prevede la formazione di un governo di unità nazionale e l’indizione di elezioni contestuali per il presidente e per l’Assemblea legislativa palestinese. Ma – come spiega Al Ahram – è un accordo pieno di punti vaghi, che possono diventare altrettante bombe a orologeria. Per il 9 novembre è convocato al Cairo l’incontro in cui l’accordo dovrebbe essere formalizzato. Al di là delle apparenze, anche l’esito di questo processo peserà molto sul risultato delle elezioni per la Knesset.
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