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Akko bifronte

16/10/2008  |  Milano
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È arrivata anche sui giornali italiani l'eco degli scontri di Akko. Nella Galilea, un tempo terra di convivenza, un arabo israeliano è passato in auto con lo stereo a tutto volume in mezzo agli ebrei ortodossi nel giorno dello Yom Kippur, giorno in cui per i religiosi l'auto non si può nemmeno usare. Ne sono nati scontri tra ebrei ortodossi e arabi israeliani che sono andati avanti per giorni. Ci sono, però, alcuni aspetti di questa vicenda che alcuni articoli usciti sui giornali israeliani e palestinesi ci possono aiutare a capire meglio.


È arrivata anche sui giornali italiani l’eco degli scontri di Akko. Nella Galilea, un tempo terra di convivenza, un arabo israeliano è passato in auto con lo stereo a tutto volume in mezzo agli ebrei ortodossi nel giorno dello Yom Kippur, giorno in cui per i religiosi l’auto non si può nemmeno usare. Ne sono nati scontri tra ebrei ortodossi e arabi israeliani che sono andati avanti per giorni. Ci sono, però, alcuni aspetti di questa vicenda che alcuni articoli usciti sui giornali israeliani e palestinesi ci possono aiutare a capire meglio.

Innanzi tutto: che cosa è successo a Taufik Jamal, l’arabo che ha compiuto il gesto provocatorio? È stato arrestato e tuttora si trova agli arresti domiciliari. Ora: personalmente non nutro nessuna simpatia per chi compie gesti provocatori contro la religione dell’altro. Però mi colpisce come nessuno nel dibattito italiano abbia sollevato qualche domanda su questo arresto. Lo fa invece su Yediot Aharonot Amir Hetsroni, definendola una misura sproporzionata. E ponendo un tema su cui dalle nostre parti si consumano fiumi di inchiostro: quello della laicità dello Stato. Non sono del tutto d’accordo la tesi di Hetsroni: un gesto provocatorio non può stare sullo stesso piano rispetto a prendere la propria auto per andare a fare una scampagnata nel giorno dello Yom Kippur. Però mi chiedo dove siano finiti in questo caso i «paladini» della libertà di espressione. Quelli che ci hanno ripetuto fino alla noia che bisognava pubblicare le vignette su Maometto per non cedere al ricatto dei religiosi. Nel mondo di oggi – dove sempre di più persone di fedi diverse si trovano a vivere fianco a fianco – il rispetto delle convinzioni religiose altrui è un tema molto serio. Proprio per questo, però, sono inammissibili i «due pesi e due misure».

Un secondo aspetto: i disordini di Akko non sono un fatto isolato. Chi legge questa rubrica sa che la questione degli arabi israeliani è un volto molto serio del conflitto israelo-palestinese. E quale sia il contesto dei fatti di questi giorni lo ricostruisce bene sul sito palestinese Miftah un articolo di Hatim Kanaaneh , un medico arabo che ha studiato ad Harvard, vive ad Akko e da trent’anni è impegnato nella difesa dei diritti umani. In particolare Kananeh cita una data importante, quella del 2000. Perché le tensioni in Israele con la minoranza arabo-israeliana sono l’eredità più importante lasciata dalla seconda intifada. Nei primissimi giorni dell’insurrezione, la polizia usò la mano pesante in Israele e negli scontri ci furono tredici morti tra cui dodici arabi con passaporto israeliano. Ci fu una commissione di inchiesta – la Commissione Or – che stese un rapporto molto dettagliato indicando precise responsabilità e indicando provvedimenti da attuare. Nulla di tutto ciò è stato fatto. Intanto però il peso numerico della popolazione arabo-israeliana cresce (siamo al 20 per cento). E anche in Galilea soffia il vento degli estremismi: quello dei fondamentalisti islamici; ma anche quello di un gruppo di ex-coloni di Gaza che – come racconta Kanaaneh – si sono spostati ad Akko. E in questi giorni fanno girare mail come messaggi del tenore: «Un ebreo è un discendente dei re. Un arabo è un discendente dei cani».

C’è infine anche l’altra Akko, quella che nella convivenza ci crede ancora. Ma soprattutto quella che si rimbocca le maniche per dargli fondamenta solide. Una storia interessante a questo proposito la racconta il Jerusalem Post. È quella di Ayalim, un’organizzazione israeliana che promuove un anno di volontariato sociale per gli studenti. Un gruppo di Ayalim è presente anche ad Akko e questo articolo racconta la sua storia. Senza tacere le difficoltà e i sospetti iniziali: perché da parte araba questa presenza era stata subito vista come un ulteriore tentativo di «giudaizzare» Akko. Con la presenza concreta e la rete di rapporti che gli studenti di Ayalim hanno saputo creare, però, l’ostilità ha lasciato il posto alla collaborazione. Grazie a un obiettivo chiaro e concreto: un miglioramento della città che sia davvero al servizio di tutti. Così, nel nuovo gruppo di 24 studenti che prenderanno servizio durante il nuovo anno accademico, ci sono anche tre arabi. È l’ennesimo esempio di una collaborazione che resta possibile. Anche nella città oggi al centro della bufera.

Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Aharonot

Clicca qui per leggere l’articolo di Miftah

Clicca qui per leggere l’articolo del Jerusalem Post

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