Tra gli appuntamenti elettorali ormai dietro l'angolo non ci sono solo le presidenziali negli Stati Uniti. Anche in Israele - in attesa di sapere se si andrà o no alle elezioni politiche anticipate con l'uscita di scena di Olmert - l'11 novembre si vota per le amministrative. E il voto che conta di più è quello per il sindaco di Gerusalemme. Appuntamento molto interessante, perché aiuta a capire come la Città Santa sia davvero un mondo a sé, anche dal punto di vista della politica. Cosa ne dice la stampa israeliana.
Tra gli appuntamenti elettorali ormai dietro l’angolo non ci sono solo le presidenziali negli Stati Uniti. Anche in Israele – in attesa di sapere se si andrà o no alle elezioni politiche anticipate con l’uscita di scena di Olmert – l’11 novembre si vota per le amministrative. E il voto che conta di più è quello per il sindaco di Gerusalemme. Appuntamento molto interessante, perché aiuta a capire come la Città Santa sia davvero un mondo a sé, anche dal punto di vista della politica.
Al momento sono tre i candidati in lizza: l’ultra-ortodosso Meir Porush – che per un accordo interno al partito United Torah Judaism raccoglierebbe l’eredità del sindaco uscente Uri Lupolianski -, il laico Nir Barkat, – alla guida di una lista civica – e il miliardario di origine russa Arcadi Gaidamark, che dopo aver finanziato a piene mani lo sport e la beneficenza ora entra anche in politica. Come balzerà subito all’occhio non ci sono candidati né del Likud, né di Kadima, né dei laburisti, cioè delle tre maggiori forze politiche israeliane. Questo perché Gerusalemme è una roccaforte dei partiti religiosi e dunque gli altri preferiscono evitare lo scontro diretto. Dunque doveva essere una partita tra religiosi e laici, con Gaidamark a fare da terzo incomodo ma senza grandi possibilità di successo.
Adesso, però, i giochi si complicano. Perché – come racconta l’articolo che alleghiamo tratto da Arutz Sheva, l’agenzia vicina alla destra religiosa – anche Aryeh Deri, ex ministro dello Shas nel governo Sharon (a suo tempo costretto a dimettersi perché accusato di corruzione) starebbe meditando di presentarsi, con il sostegno del suo partito. La notizia è molto interessante, perché lo Shas è il partito religioso dei sefarditi, mentre United Torah Judaism è quello degli ashkenaziti. Quella che si profilerebbe sarebbe, dunque, una spaccatura del fronte religioso. Accentuata dal fatto che – probabilmente – molti ultra-ortodossi russi voteranno comunque per Gaidamark.
C’è da essere certi che nelle prossime ore United Torah Judaism farà di tutto per fermare Deri. Anche perché il primo sondaggio di Yediot Ahronot ha dato – a sorpresa – il laico Barkat davanti al religioso Porush. E per di più con un buon margine: 49 per cento contro il 31 per cento. Due mesi in Medio Oriente sono un’eternità e dunque è ancora presto per considerarlo un dato assodato. Certo, però, che se i religiosi finissero all’opposizione a Gerusalemme sarebbe una svolta almeno simbolica. Anche se – va detto – che il laico Barkat è comunque un politico che non manca di recitare il classico mantra su «Gerusalemme capitale indivisibile».
Quanto questo slogan sia, però, ormai un’ideologia vuota lo spiega magistralmente il terzo articolo che rilanciamo, la cui seconda parte per chi sa l’inglese vale la pena di andare a leggere nella versione originale. Akiva Eldar di Haaretz tira le somme sulle trattative tra Olmert e Abu Mazen. E per spiegare l’assurdità della precondizione sul rinvio di ogni discussione su Gerusalemme – posta da Olmert per evitare il veto proprio dello Shas, partito che fa parte della maggioranza di governo – il giornalista racconta la storia di Halil Farid, un palestinese che abita nel campo profughi di Qalandiya. Come palestinese di Gerusalemme est, Farid ha una carta di identità israeliana. Ma quando – a causa di una lesione alla colonna vertebrale – si è rivolto al National Insurance Institute, l’ente previdenziale israeliano, per chiedere l’assegno di invalidità si è visto respingere la domanda. «Abbiamo consultato le mappe – gli hanno risposto – e la parte preponderante della sua casa (l’83,94 per cento) risulta fuori dallo Stato di Israele». A quel punto Farid ha scritto alla municipalità di Gerusalemme, per chiedere che – a questo punto – sia almeno esentato dal pagamento delle tasse comunali, che finora ha sempre pagato. La risposta è stata ancora negativa. Per l’ufficio tecnico, infatti, tutti e 62 i metri quadri del suo appartamento si trovano all’interno dell’area municipale. Ufficio che vai, confine che trovi. Morale: Gerusalemme è l’unico posto al mondo in cui si elegge un sindaco che non ha alcuna certezza su dove finisca la sua città. Eppure – chiunque sarà – nel suo discorso di insediamento, il nuovo primo cittadino la sera dell’11 novembre non mancherà di dire che non accetterà mai di «dividere» con i palestinesi la sua città.
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