Domattina, 3 settembre, alle 10 s'apre un nuovo capitolo nella storia di Cipro. La maggioranza greca e la minoranza turca tornano ufficialmente al tavolo delle trattative per riprovare a comporre il conflitto che le contrappone dal 1963. Demetris Christofias, presidente della Repubblica di Cipro, e il leader del Nord, Mehmet Ali Talat, apriranno formalmente i negoziati presso la residenza di Taye-Brook Zerihoun, capo della missione Onu a Nicosia. Al vertice presenzierà anche l'ex ministro degli Esteri australiano Alexander Downer, consigliere speciale per le questioni cipriote del segretario generale dell'Onu. Lo stesso Downer a fine luglio ha dichiarato che «le prospettive di arrivare a una soluzione complessiva, favorevole per tutti i ciprioti, non sono mai state migliori».
Domattina, 3 settembre, alle 10 s’apre un nuovo capitolo nella storia di Cipro. La maggioranza greca e la minoranza turca tornano ufficialmente al tavolo delle trattative per riprovare a comporre il conflitto che le contrappone dal 1963.
Demetris Christofias, presidente della Repubblica di Cipro, e Mehmet Ali Talat, alla testa dell’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord (riconosciuta solo dalla Turchia) apriranno formalmente i negoziati presso la residenza di Taye-Brook Zerihoun, capo della missione Onu a Nicosia. Al vertice presenzierà anche l’ex ministro degli Esteri australiano Alexander Downer, che il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha nominato suo consigliere speciale per le questioni cipriote nel luglio scorso.
Questa nuova tornata di negoziati alimenta molte aspettative. Lo stesso Downer, in occasione di una visita di fine luglio a Cipro, ha dichiarato: «Gli sviluppi degli ultimi mesi hanno alimentato la genuina sensazione che le prospettive di arrivare a una soluzione complessiva, favorevole per tutti i ciprioti, non siano mai state migliori».
Gli sviluppi a cui Downer fa riferimento sono quelli successivi all’elezione di Christofias alla presidenza, avvenuta il 24 febbraio scorso. Già in campagna elettorale il leader dei comunisti sud-ciprioti aveva dichiarato il suo intento di rimettere in moto la macchina dei negoziati. Promessa mantenuta il 21 marzo quando lui e Talat si sono incontrati per il primo di una serie di colloqui informali. Già in quella sede sono stati creati gruppi di lavoro e commissioni tecniche con il compito di sviscerare i problemi, mettere in luce i punti di intesa, prendere atto delle posizioni ancora inconciliabili.
In giugno e luglio questi organismi hanno raggiunto 22 punti d’accordo su misure comuni di intervento in materia di sanità, lotta al crimine, tutela del patrimonio culturale e protezione ambientale, gestione delle crisi.
Non si è partiti da zero: anche se ufficialmente il Piano Annan, a suo tempo elaborato dalle Nazioni Unite per una «completa soluzione del problema di Cipro», fu bocciato nel 2004 per via referendaria dai greco-ciprioti, gli strumenti, le indicazioni e le norme che esso prevedeva sono come una preziosa miniera a cui attingere.
Dal 2004 Cipro è membro dell’Unione Europea e i 750 mila greco ciprioti si sentono più sicuri nel negoziare un accordo globale con i turco-ciprioti, protetti dalla Turchia.
Certamente rimangono molte divergenze da appianare. Quando immaginano il futuro assetto costituzionale da dare alla nuova Cipro, la parte turca ricorre alla formula new partnership, «nuova associazione, nuovo partenariato», e pensa a una federazione, creata da due partner con pari dignità, che sia qualcosa di totalmente nuovo e discontinuo rispetto all’attuale Repubblica di Cipro.
I greco ciprioti, invece, preferirebbero uno Stato unitario, ma sono anche disposti a concedere uno Stato federale purché sia solo una diversa formulazione della Repubblica già esistente. Temono che l’idea dei turco-ciprioti possa essere come un cavallo di Troia che consenta loro di proclamare la secessione qualora l’esperimento federale dovesse fallire.
Per i greco-ciprioti la loro Repubblica è la sola erede legittima dell’indipendenza acquisita da Cipro nel 1960. Per i turco-ciprioti lo Stato indipendente partorito nell’agosto del ‘60 morì nel 1963, con i primi scontri interetnici e la conseguente crisi istituzionale.
I piani di pace fin qui elaborati prevedevano tutti il ritiro dei militari turchi e greci entro i limiti numerici stabiliti nel 1960: 950 greci, 650 turchi. È improbabile che l’esercito turco accetti un immediato e completo ritiro. È più consono immaginare un ripiegamento graduale nel corso di qualche anno. Da Ankara il governo Erdogan incoraggia i negoziati, ma in Turchia restano forti le resistenze nei settori nazionalisti e tra le forze armate.
E che faranno gli inglesi che conservano due grandi basi militari nell’isola? Confermeranno la disponibilità, espressa nel Piano Annan, a rinunciare ad ampie porzioni dei loro domini?
Molto spinoso è anche il tema delle proprietà private dei greco ciprioti rimaste nella parte turca dell’isola e sottratte al controllo dei legittimi proprietari (nel 1974 il 78 per cento delle proprietà ora sotto controllo turco apparteneva a greco-ciprioti). Si tratterà di bilanciare i diritti dei proprietari originari con quelli di chi oggi, magari da decenni, esercita il possesso dei beni. Tre le possibili soluzioni: restituzione, compensazione, scambio di beni equivalenti. Per i greco ciprioti l’importante è che al proprietario originario sia data la facoltà di scegliere. Correlata a questa è anche la questione degli edifici religiosi, prevalentemente di proprietà ortodossa, che i turchi hanno convertito ad altri usi, spogliato di opere d’arte e arredi preziosi o lasciato andare in rovina.
Infine c’è la questione dei coloni turchi provenienti dall’Anatolia e stabilitisi a Cipro dall’inizio dell’occupazione militare del 1974. Il presidente Christofias si è dichiarato disposto ad accettare che restino in 50 mila, ma è difficile sapere quanti siano precisamente. Pare che siano mal tollerati anche dagli stessi turco-ciprioti. In molti, a Cipro, ritengono che questo continuo afflusso debba finire. E per dire stop serve uno Stato solido, riconosciuto anche dalla Turchia, che eserciti un effettivo controllo dei suoi confini.