Il mondo ebraico celebra in queste ore la festa di Rosh ha-Shanah, il suo capodanno. Si entra nell'anno 5769. Ed è un passaggio particolarmente delicato per Israele. Uno dei riti di Rosh ha-Shanah erano le lunghe interviste dei quotidiani al premier in carica. Anche oggi non mancano le dichiarazioni di Ehud Olmert, ma ovviamente hanno un altro sapore. C'è molta incertezza sul futuro immediato. Ma ci sono anche nuove preoccupazioni. Questo clima di incertezza si vede molto bene negli editoriali con cui i principali quotidiani israeliani oggi salutano il passaggio all'anno nuovo.
Il mondo ebraico celebra in queste ore la festa di Rosh ha-Shanah, il suo capodanno. Si entra nell’anno 5769. Ed è un passaggio particolarmente delicato per Israele. Uno dei riti di Rosh ha-Shanah erano le lunghe interviste dei quotidiani al premier in carica. Anche oggi non mancano le dichiarazioni di Ehud Olmert, ma ovviamente hanno un altro sapore. C’è molta incertezza sul futuro immediato. Ma ci sono anche nuove preoccupazioni. Due, in particolare, hanno dominato l’ultima settimana a Gerusalemme: prima c’è stato il nuovo attentato messo in atto da un palestinese di Gerusalemme Est (e significativamente lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, ha cominciato a dire che anche questa nuova forma di terrorismo va conteggiata nel «bilancio» del muro di separazione); poi c’è stato quello contro il professor Zeev Sternhell, storico mai tenero nei confronti dei coloni, che ha posto all’ordine del giorno il tema del terrorismo ebraico.
Questo clima di incertezza si vede molto bene negli editoriali con cui i principali quotidiani israeliani oggi salutano il passaggio all’anno nuovo. Haaretz traccia un parallelo con dieci anni fa, quando Ehud Barak si insediò dicendo che per Israele era l’«alba di un nuovo giorno». Abbiamo visto tutti com’è finita, commenta il quotidiano. Poi sono venuti gli anni della «forza della disperazione». «Le delusioni che abbiamo conosciuto – è la conclusione – ci hanno quasi fatto dimenticare che Israele nacque con speranze un po’ più alte rispetto a quelle di oggi. All’inizio di un nuovo anno, invece, non c’è niente di più utile che ricordarle e rinnovarle sotto una nuova leadership».
Su Yedioth Ahronoth Uri Orbach si concentra invece sullo scontro interno tra coloni e pacifisti, che l’attentato al professor Sternhell ha portato alla ribalta. Orbach – parafrasando il celebre slogan coniato da Yitzhak Rabin – sostiene che sarebbe questa la vera «pace dei coraggiosi». Servirebbe un Paese in cui un «governo di pacificazione nazionale – spiega il giornalista – stabilisce dove è meglio insediare le nostre comunità e dove no. Dove le scuole dei religiosi allargano la familiarità dei propri studenti con la cultura occidentale e l’educazione moderna; mentre le scuole laiche favoriscono nei loro studenti il legame con le tradizioni religiose e la cultura ebraica. Nell’anno della pace domestica la piattaforma del governo dovrebbe porre l’educazione e la creatività in cima alla propria agenda. E le nostre risorse sarebbero destinate in maniera prioritaria alle scuole, alla rinascita fisica e sociale delle città e a costruire condizioni di vita migliori per i cittadini arabo-israeliani».
Il Jerusalem Post, infine, lancia un parallelismo interessante: con oggi per il mondo ebraico finisce l’anno 5768, che era un anno sabbatico. Quindi, secondo la tradizione, è proprio questo il momento in cui si condonano tutti i debiti. Ed è singolare che questa ricorrenza cada proprio mentre negli Stati Uniti – nel pieno dell’uragano finanziario – si tratta sulla «più grande cancellazione di debiti della storia». Dal quotidiano di Gerusalemme viene quindi l’invito a partire da questa coincidenza per ritrovare – oltre la corsa alla ricchezza facile e alle sue contraddizioni – il vero significato che la legge ebraica assegnava alla remissione del debito. Il senso della corresponsabilità di ciascuno alle sorti di tutti. È la speranza che accomuna un po’ tutti in questo Rosh ha-Shanah difficile per Israele.
Clicca qui per leggere l’editoriale di Haaretz
Clicca qui per leggere l’articolo di Yedioth Ahronoth
Clicca qui per leggere l’editoriale del Jerusalem Post