Nelle settimane scorse il vicario apostolico d'Arabia, il cappuccino svizzero mons. Paul Hinder (66 anni), ha rilasciato una lunga intervista ad Edward Pentin. Terrasanta.net la pubblica in due parti, a partire da oggi, nella sua sezione in lingua inglese. Il vicariato d'Arabia, a cui Hinder dedica le sue energie, include i territori di Qatar, Emirati Arabi Uniti, Yemen e Arabia Saudita. Il vescovo risiede ad Abu Dhabi e da lì coordina la vita di venti parrocchie. Vi offriamo qui una traduzione redazionale di alcuni stralci del colloquio.
Nelle settimane scorse il vicario apostolico d’Arabia, il cappuccino svizzero mons. Paul Hinder (66 anni), ha rilasciato una lunga intervista ad Edward Pentin. Terrasanta.net la pubblica in due parti, a partire da oggi, nella sua sezione in lingua inglese.
Il vicariato d’Arabia include i territori di Qatar, Emirati Arabi Uniti, Yemen e Arabia Saudita. Il vescovo risiede ad Abu Dhabi e da lì coordina la vita di venti parrocchie. «Ora sono venti – dice – ma spero che ne avremo di più in futuro. I piani per costruire altre chiese ci sono, ma poterli portare a termine non dipende da noi. Qui negli Emirati molte parrocchie non hanno spazio a sufficienza. Il mio sogno è che possiamo aprire altri due o tre luoghi di culto per migliorare il servizio pastorale ai fedeli. Oltre alla mancanza di spazi c’è anche il problema delle distanze: moltissime persone hanno difficoltà a raggiungere le chiese e devono far ricorso a mezzi di trasporto costosi. Questo vale in particolare per chi è impiegato nei campi di lavoro. Stiamo cercando delle alternative. Vorremmo ottenere il permesso di entrare in qualche campo di lavoro per celebrarvi la Messa una volta alla settimana e per garantire altri servizi come le confessioni, o organizzare meglio la vita spirituale di quelle persone. È un progetto che sto discutendo con uno dei prìncipi della Corona dei sette emirati, il quale si dimostra comprensivo. Ma naturalmente siamo in una parte del mondo dove la distanza che corre tra le conversazioni con i capi di Stato e la messa in atto di una determinata decisione è molto ampia».
Un aspetto che accomuna i cristiani che vivono nei Paesi del Golfo arabico è il senso di precarietà. Tutti, incluso il vescovo, sanno che, essendo stranieri, potrebbero essere espulsi da un giorno all’altro. «Ciò fa parte dell’esperienza cristiana» ammette Hinder. «Io stesso devo stare attento, quando parlo, al modo in cui esprimo le mie opinioni».
Sulle ingiustizie subite dai molti immigrati, non solo cristiani, nei luoghi di lavoro, il vescovo svizzero, però, parla chiaro. Al giornalista che gli chiede delle condizioni simili alla schiavitù riscontrate nei campi di lavoro, Hinder risponde: «C’è un’ingiustizia strutturale. So che il governo vuol migliorare la situazione, soprattutto per via degli organismi di sorveglianza internazionali, ma poi le leggi non vengono messe in pratica per carenza di controlli. E restano sul tappeto domande cruciali. In tutta la regione assistiamo ad abusi perpetrati contro centinaia di migliaia di lavoratori domestici. È un grosso problema. Molti di loro conducono esistenze terribili, sono come schiavi e va detto chiaramente. Non sono liberi di lasciare la casa dei loro datori di lavoro. Se cristiani non possono andare in chiesa, o riescono ad andarci solo a Natale e a Pasqua, quando hanno un principale comprensivo. Giusto per fare un esempio: un paio di settimane fa è venuto da me un uomo a cui era stato offerto l’impiego di autista presso l’ambasciatore di un Paese arabo. Il diplomatico aveva subito messo in chiaro che non avrebbe permesso al suo dipendente di andare in chiesa. Così quell’uomo ha rifiutato l’impiego perché ci teneva ad esprimere la sua fede anche andando in chiesa. Ma ci sono situazioni ben peggiori. In materia di salari è enorme il divario tra gli incredibilmente ricchi e la gente che ha paghe modeste, o anche meno che modeste, e che è sottoposta a una crescente tassazione indiretta. Rinnovare i permessi di soggiorno diventa sempre più costoso. È con questi mezzi che molti dei redditi prodotti restano nel Paese. Alla luce del magistero sociale della Chiesa direi che c’è molto da fare. Ma devo essere cauto e, a volte, scegliere altri modi per dire queste stesse cose quando parlo a musulmani che detengono una qualche autorità. Faccio loro osservare che ci sono situazioni che fanno a pugni anche con il loro modo di intendere l’islam. Dico loro: lasciamo pure da parte il messaggio cristiano per un momento. Pensate almeno come autentici musulmani».
La lunga conversazione con il vicario apostolico d’Arabia tocca anche il tema dell’annuncio del Vangelo di Gesù e della possibilità di convertirsi.
«Penso – osserva il vescovo – che corriamo un rischio, dovuto alla situazione in cui viviamo. È la tendenza a restare in silenzio, o ad essere molto cauti nell’utilizzare parole che potrebbero suonare "troppo" cristiane. Ci pensavo recentemente in occasione di incontri che ho avuto con dei musulmani. Dobbiamo avere più coraggio nell’esprimere la fede e non perché si voglia convertirli. Qui nella penisola arabica è assolutamente chiaro che le conversioni sono fuorilegge. Se qualcuno intende abbracciare il cristianesimo deve andare in un altro Paese e se fa ritorno avrà difficoltà a integrarsi nella comunità. Ci sono anche casi tragici di persone che si sono convertite ma non possono mostrarlo apertamente e non possono neppure prender parte alla Messa. Talvolta riusciamo a celebrare la Messa per loro in qualche casa privata».
Nei mesi scorsi – dopo la visita del re d’Arabia in Vaticano nel novembre 2007 – alcuni mass media hanno evocato una possibile intesa tra Santa Sede e Arabia Saudita e l’avvio di negoziati segreti che potrebbero portare all’apertura di una chiesa sul suolo del regno saudita, fin qui considerato tanto sacro all’islam da non poter essere «profanato» con luoghi di culto di altre religioni. Hinder esclude che vi siano trattative del genere a livelli tanto alti: «Non mi risultano – dice – negoziati segreti su questo argomento. In via ufficiosa o tramite altri canali, invece, il tema viene toccato. Per noi è auspicabile avere luoghi di culto, ma non credo che la questione venga trattata a quei livelli. Il sostegno [del Vaticano] per noi è importante, ma penso che i problemi concreti debbano essere risolti a livelli più bassi, tramite accordi che tengano conto del nostro bisogno di sicurezza e risultino compatibili con la sensibilità saudita. Naturalmente spero che possiamo giungere a questo un giorno. Sarei più che felice se la nostra gente potesse riunirsi in sicurezza senza essere messa sotto accusa perché celebra la Messa in qualche salone o club preso in affitto nel fine settimana. Se dovessimo raggiungere una soluzione che non ci costringesse a nasconderci ma fosse ammessa dalla legge sarebbe già un passo molto importante».