Che cosa c'entra Robert Mugabe, il dittatore dello Zimbabwe, con la aliyah, il flusso degli ebrei che decidono di trasferirsi in Israele, scegliendo la terra dei loro padri come patria definitiva? Secondo il quotidiano israeliano Haaretz molto, se è vero quanto denunciato da Telfed, la maggiore organizzazione sionista del Sud Africa, Paese in cui risiede una forte comunità ebraica che conta intorno a 60 mila membri. Mentre negli anni scorsi il Telfed registrava una modesta media annuale di arrivi dal Sud Africa, non superiore ai 150-200 immigrati ebrei, quest'anno le richieste di andare a stabilirsi in Israele sono più che raddoppiate e si aspettano in pochi mesi oltre 500 sbarchi.
(c.g.) – Che cosa c’entra Robert Mugabe, il dittatore dello Zimbabwe, con la aliyah, il flusso degli ebrei che decidono di traferirsi in Israele, scegliendo la terra dei loro padri come patria definitiva? Secondo il quotidiano israeliano Haaretz molto, se è vero quanto denunciato da Telfed, la maggiore organizzazione sionista del Sud Africa, Paese in cui risiede una forte comunità ebraica che conta intorno a 60 mila membri.
Mentre negli anni scorsi il Telfed registrava una modesta media annuale di arrivi dal Sud Africa, non superiore ai 150-200 immigrati ebrei, quest’anno le richieste di andare a vivere in Israele sono più che raddoppiate e si aspettano in pochi mesi oltre 500 sbarchi. A conferma di questo, ha fatto notizia a metà luglio l’arrivo straordinario di 100 immigrati ebrei sudafricani all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Dave Bloom, vice-presidente di Telfeld e nato in Zimbabwe, spiega così la situazione: «La forte violenza etnica che si sta manifestando in Sud Africa, ha creato una atmosfera xenofoba che ha raggiunto il suo culmine quando gli attacchi sono stati portati direttamente a cittadini ebrei». Va ricordato che nei mesi scorsi un grande flusso di migranti dello Zimbabwe si è mosso verso il Sud Africa, per fuggire dalla situazione di instabilità del regime di Mugabe.
Tuttavia questi emigranti sono stati vittime di violente azioni razziste da parte di sudafricani che li vedono come pericolosi concorrenti nel campo del lavoro e dei servizi. L’arrivo dei migranti è anche coinciso con una serie di problemi sociali come la frequente mancanza di luce ed acqua, l’aumento della criminalità di strada, la svalutazione della moneta e preoccupazioni politiche di varia natura. «Bisogna considerare che qui in Sud Africa la gente è stata anche bruciata viva in strada», sottolinea Omer Rabin, rappresentante dell’Agenzia Ebraica in Sud Africa e organizzatore del viaggio di ritorno degli ebrei locali: «Il volo organizzato a metà luglio contava anche tre interi nuclei familiari dallo Zimbabwe -spiega Rabin-, che costituivano il 30 per cento dell’intera comitiva».
A favore della aliyah si è instaurato quindi un inatteso effetto domino: la permanenza del dittatore Mugabe fa fuggire migliaia di persone dallo Zimbabwe al Sud Africa; qui la presenza di nuovi immigrati si innesta su una crisi economica già presente e aumenta le tensioni sociali nel Paese; e le tensioni sociali spingono un numero sempre maggiore di ebrei sudafricani a scegliere Israele come la propria patria. «La situazione in Zimbabwe accentua la mancanza di fiducia che cresce tra la gente in Sud Africa – spiega Dave Bloom -. Infatti molti temono che possa diventare presidente Jacob Zuma, un candidato che rappresenta un’ala radicale dello scenario politico e che, secondo alcuni potrebbe applicare politiche anti-occidentali non lontane da quelle di Mugabe».