Se sia davvero il momento della svolta o invece l'ennesima speranza destinata a naufragare nei giochi incrociati della real politik è difficile dirlo. Certo è che le parole pronunciate domenica dal premier israeliano Ehud Olmert a Parigi a proposito dei negoziati israelo-palestinesi - «mai stati così vicini alla possibilità di arrivare ad un accordo» - hanno colto di sorpresa analisti e osservatori diplomatici. Non tanto (o non solo) perché quest'ottimismo arriva nel momento politicamente peggiore di un leader mai troppo amato in patria e sommerso dagli scandali finanziari, quanto perché le buone intenzioni poggiano tuttora su equilibri altamente precari nello scacchiere mediorientale ed è difficile immaginare dialoghi e accordi solidi con fondamenta così instabili.
Se sia davvero il momento della svolta o invece l’ennesima speranza destinata a naufragare nei giochi incrociati della real politik è difficile dirlo. Certo è che le parole pronunciate domenica dal premier israeliano Ehud Olmert a Parigi a proposito dei negoziati israelo-palestinesi – «mai stati così vicini alla possibilità di arrivare ad un accordo» – hanno colto di sorpresa analisti e osservatori diplomatici. Non tanto (o non solo) perché quest’ottimismo arriva nel momento politicamente peggiore di un leader mai troppo amato in patria e sommerso dagli scandali finanziari, quanto perché le buone intenzioni poggiano tuttora su equilibri altamente precari nello scacchiere mediorientale ed è difficile immaginare dialoghi e accordi solidi con fondamenta così instabili.
Ospite del presidente francese Nicolas Sarkozy per il lancio dell’Unione per il Mediterraneo, Olmert, in una dichiarazione congiunta con il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), ha precisato che prossimamente verranno «assunte decisioni gravi e importanti che ci porteranno a una fase in cui finora non siamo mai stati». Da parte sua Abu Mazen ha sottolineato la «serietà» dell’iniziativa e il rispetto da parte dell’Anp della Road Map e degli accordi internazionali.
Se peraltro sono in pochi a dubitare delle buone intenzioni delle parti, sono tali e tanti i nodi che si intersecano nel conflitto israelo-palestinese che sembra arduo pensare a un accordo di pace che non tenga conto di molti altri elementi. Come il fattore-Iran, i rapporti tra la Siria e Israele e quelli tra Damasco e Teheran, il ruolo di Hamas (vicina all’Iran) nella Striscia di Gaza, le eventuali mosse di Hezbollah in Libano (vincitore di fatto del conflitto contro Israele dell’estate 2006 e ora parte dell’esecutivo).
Pare evidente, insomma, che una pace scaturita da un semplice accordo a due tra Israele e l’Anp sarebbe al massimo una pace dimezzata. E se è vero che Olmert ha già auspicato colloqui «diretti» con la Siria (finora mediati dalla Turchia) e il presidente siriano Bachar Assad, con l’invito al vertice euromediterraneo di Parigi, ha riconquistato un ruolo riconosciuto e visibile nel processo di stabilizzazione del Medio Oriente, Damasco sembra non voler censurare esplicitamente Teheran, che con il suo programma nucleare e le minacce a Israele si è guadagnata l’isolamento internazionale.
Nelle intenzioni di Sarkozy proprio la Siria, vicina a Teheran, potrebbe costituire un tramite importante tra l’Europa (e al contempo Israele) e l’Iran, e l’invito di Assad a Parigi va in questa direzione. Capire cosa Israele possa mettere sul piatto della bilancia di un’eventuale intesa con la Siria appare oggi una delle prime preoccupazioni del governo Olmert, posto che il semplice ritiro dalle alture del Golan andrebbe inserito in una cornice più ampia.
Secondo lo stesso Assad, peraltro, un eventuale attacco all’Iran (da parte degli Usa o, più probabile, da parte di Israele) avrebbe gravi ripercussioni sullo Stato ebraico. Senza contare che difficilmente la stessa Damasco farebbe mancare il proprio sostegno al regime degli ayatollah. E che gruppi come Hamas ed Hezbollah potrebbero dar fuoco ai risentimenti anti-israeliani nella Striscia di Gaza e nel Sud del Libano, dando un ulteriore colpo alla credibilità di Abu Mazen. Sarebbe in grado, poi, una leadership debole come quella attuale di Olmert di far fronte a una crisi di tale portata e proprio nel mezzo del pur sempre difficile dialogo con l’Anp?
Certo un conflitto con l’Iran resta per ora solo nel campo delle ipotesi, ma i brutti segnali in questa direzione sono in aumento, e l’ampiezza dello scacchiere mediorientale è tale che è difficile pensare di risolvere una questioni come quella del conflitto israelo-palestinese con il semplice abbraccio di domenica a Parigi tra Olmert e Abu Mazen. Da sottolineare, certo, l’impegno di Sarkozy e un rinnovato interesse dell’Europa intera per la questione. Ma l’impressione dei più è che la strada da percorrere sia ancora tanta. E (quasi) tutta in salita.