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Il Papa andrà in Arabia?

21/07/2008  |  Roma
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Il Papa andrà in Arabia?
Città del Vaticano, 6 novembre 2007. Il Papa accoglie in udienza il sovrano dell'Arabia Saudita, re Abdullah.

Potrebbe essere Benedetto XVI il primo successore di Pietro in epoca moderna a visitare la Penisola Arabica? Le speculazioni su un viaggio apostolico di questo genere si sono moltiplicate dopo l'invito rivolto al Papa, ai primi di luglio, dal sovrano del Bahrein, re Hamad Bin Isa Al-Khalifa. Il re è il primo capo di Stato arabo ad invitare ufficialmente il Papa nel corso di un'udienza privata. L'invito fa seguito a quello già espresso dal vice primo ministro del Qatar lo scorso anno. Considerati i progressi compiuti nella regione sul piano della libertà religiosa e la gara nel promuovere iniziative sul versante del dialogo interreligioso, il gesto del re del Bahrain appare, per molti versi, una naturale conseguenza.


Potrebbe essere Benedetto XVI il primo successore di Pietro in epoca moderna a visitare la Penisola Arabica?

Le speculazioni su un viaggio apostolico di questo genere si sono moltiplicate dopo l’invito rivolto al Papa, il 9 luglio scorso nel corso di un’udienza privata in Vaticano, dal sovrano del Bahrein, re Hamad Bin Isa Al-Khalifa.

Il re è il primo capo di Stato arabo ad invitare ufficialmente il Papa. L’invito fa seguito a quello già espresso dal vice primo ministro del Qatar lo scorso anno. Considerati i progressi compiuti nella regione sul piano della libertà religiosa e la gara nel promuovere iniziative sul versante del dialogo interreligioso, il gesto del re del Bahrein appare, per molti versi, uno sbocco naturale.

Il Bahrein, come la maggior parte dei Paesi del Golfo Persico, ha una grande popolazione di immigrati. Il 40 per cento dei 37 milioni di abitanti della regione è costituito da cittadini stranieri, molti dei quali cristiani, o comunque non musulmani, provenienti dall’Asia. Con il crescere del loro numero, aumenta la pressione sui governanti per dare spazio alle loro culture e religioni. Recentemente, il Bahrein ha inviato un ebreo come suo rappresentante diplomatico negli Stati Uniti. Intanto, in marzo, è stata inaugurata la prima chiesa cattolica in Qatar. Secondo il vescovo Paul Hinder, vicario apostolico d’Arabia, i governi del Golfo gareggiano tra loro nel tendere la mano alle altre religioni.

In effetti, in varie aree la popolazione cristiana cresce al punto da far apparire piccolo il numero dei credenti musulmani. Ciò balza all’occhio quando si visita una delle poche parrocchie del vicariato d’Arabia. Sono 20 in totale, guidate da gruppi di preti, soprattutto frati cappuccini, incaricati della cura pastorale di centinaia di migliaia di fedeli per ogni parrocchia.

I cristiani nella regione richiedono un’attenzione particolare. Molti di loro sono lavoratori generici o operai soggetti a sfruttamento sul posto di lavoro. In una regione tanto ricca essi ricevono bassi salari, vivono in gran numero dentro squallidi campi di lavoro e, nei casi peggiori, conducono un’esistenza da moderni schiavi, legati ai principali da contratti capestro. Chi svolge lavori domestici è esposto a molti rischi: a migliaia subiscono abusi, sono virtualmente reclusi dai loro datori di lavoro, privati di ogni diritto e impossibilitati ad esercitare concretamente la propria libertà di culto.

La Chiesa nel Golfo vorrebbe essere più esplicita nel condannare queste gravi ingiustizie, ma la sua situazione precaria impone limiti all’azione. Sebbene in molti Paesi arabi la libertà religiosa abbia fatto strada, libertà di parola e democrazia restano lontane. Così come rimane un persistente senso di insicurezza, che i governanti di queste terre fanno poco per negare: i cristiani avvertono che da un momento all’altro potrebbe essere richiesti di andarsene. Tutti problemi, questi, che una visita papale potrebbe affrontare e magari risolvere. Per non parlare della possibilità di dare una significativa spinta al dialogo interreligioso.

Un altro fattore in favore di una presenza del Papa nella penisola arabica è rappresentato dalle odierne tendenze riformiste nella Casa reale saudita. Re Abdullah sta lentamente cercando di tendere la mano alle altre fedi e di misurarsi con la modernità. In maggio, ha invitato vari leader musulmani alla Mecca per discutere su come migliorare il dialogo con chi professa altri credo. Nei giorni scorsi, con la conferenza convocata a Madrid, è stato il primo monarca saudita a ospitare un importante incontro interreligioso, radunando figure di spicco non solo di area musulmana e cristiana, ma anche giudaica.

Tutto ciò giunge dopo l’incontro dello scorso anno tra il re e Papa Benedetto XVI, insieme con modesti miglioramenti, in Arabia Saudita, sul versante della libertà religiosa (gli atti di culto non islamici svolti in privato non vengono più perseguiti) e a operazioni di polizia contro terroristi di cittadinanza saudita. Anche se non può dirlo apertamente, data la presenza dei militanti wahabiti nel suo governo, pochi dubitano che il re sarebbe lieto di dare il benvenuto al Santo Padre.

I veri ostacoli a una visita papale sono due. Anzitutto, l’ovvia opposizione degli estremisti. Molto dipende, in questo caso, da iniziative come quelle di re Abdullah e degli altri leader arabi, volte a placare o ridimensionare una tanto rumorosa minoranza. Il secondo ordine di ostacoli è di tipo protocollare: quali Stati dovrebbe visitare il Papa e quali trascurare? Potrebbe, per fare un esempio, recarsi nella regione e non mettere piede in Arabia Saudita? «Sarei più che felice» dice mons. Hinder «se la visita avesse luogo, ma penso che ci vorrà ancora del tempo, per via delle molte questioni che un simile viaggio implicherebbe».

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