L’uomo è un animale simbolico. A dispetto della sua razionalità, che lo distingue dalle altre creature e di cui giustamente va fiero, deve tuttavia riconoscere in sé e attorno a sé dimensioni che sfuggono al mero ragionamento. Forse non tutti avranno notato, ad esempio, che persino sugli aerei di linea – i più moderni e tecnologicamente avanzati mezzi di trasporto di massa – manca quasi sempre la fila 13, e spesso anche la 17. Le compagnie di volo hanno preferito la soluzione più pragmatica e conveniente (dunque ragionevole) a quella più razionale ma poco realistica: dover spostare ogni volta qualche superstizioso farebbe inutilmente perdere tempo a danno di tutti per tentare di convincere qualcuno a rinunciare alle proprie fisime.
Riflettevo su questo nelle scorse settimane, mentre mi trovavo a Istanbul nel bel mezzo delle polemiche innescate dal giudice costituzionale che ha ribadito il divieto del velo nelle università. Sul modernissimo tram che attraversa il centro della capitale turca osservavo divertito le effusioni di un fidanzato verso la sua amata (e velata) ragazza o l’evidente amicizia tra due velate e una compagna coi capelli al vento e con in mano una cartelletta dalla quale si intuiva chiaramente la sua professione: stilista di moda femminile per capi tutt’altro che islamicamente corretti. La rappresentazione di un Paese spaccato tra fondamentalisti puritani e laici ipersecolarizzati svaniva di fronte alla realtà, nella quale tuttavia sono evidenti numerosissime concessioni all’immaginario musulmano tradizionalista.
Contraddizioni? Forse. Le scuole cattoliche e gli oratori divisi per sesso non fanno parte del nostro Medioevo e la (benedetta) eguaglianza delle religioni davanti allo Stato non può significare indifferenza. La legge, laica o religiosa che sia, deve tener conto del contesto per non rischiare di imporre una visione ideologica astratta alla realtà concreta che sarà sempre più variegata, complessa, magari incoerente e persino pasticciata di quanto il più raffinato sistema giuridico abbia saputo immaginare. Ciò che costituisce un punto "sensibile" in un luogo non è detto lo sia allo stesso modo «In God we trust» appare in bella vista sulle banconote Usa senza disturbare nessuno. È ovvio che dietro alla polemica sul turban (così chiamano il velo in Turchia) si celano ben altri conflitti tra gruppi di potere, così come proclamare Gerusalemme capitale eterna e indivisibile dello Stato d’Israele – come ha fatto di recente Barack Obama – è un segnale diretto agli elettori americani di fede ebraica più che un ragionevole discorso a proposito del conflitto mediorientale. Prendere le cose alla lettera, si sa, è atteggiamento tipico dei fondamentalismi. Fingere di farlo può rispondere a ragioni di convenienza, a condizione che non si dimentichi che si tratta di una messinscena di cui la società della comunicazione globale si nutre ma verso la quale non sempre possiede i necessari anticorpi.
La logica del Vangelo ci mette in guardia dai possibili rischi che ne possono derivare, ma anche il primo principio della sharia recita «Le azioni valgono in base alle intenzioni». Le religioni sembrano tornare di moda, ma rallegrarsene senza saper esercitare un sano senso critico sarebbe una catastrofe. Identità, appartenenza, radici sono cose serie: ridurle a strumenti di difesa o, ancor peggio, di attacco significa svilirle, deformarle, tradirne l’autenticità. Chi veramente è, e sa di essere quello che è, dovrebbe avere la maturità e l’equilibrio che consente di distinguere ciò che è negoziabile da quanto non può essere barattato a nessuna condizione.
Non so prevedere se e quando sui nostri jet riappariranno i famigerati numeri 13 e 17, né mi disturba che possano ancora a lungo mancare, ma apprezzo – pur essendo un fumatore – che le sigarette siano state bandite anche a bordo delle linee aeree turche: sulla salute nessuna deroga, su altri temi tutti i possibili e ragionevoli compromessi.