Grande agitazione a Betlemme, dal 21 al 23 maggio scorso. Autorità, uomini d’affari da molti Paesi del mondo, la città tirata a lucido, l’Intercontinental Jacir Palace ricolmo di delegazioni. L’occasione di tanto via vai è stata la Conferenza per gli investimenti in Palestina, organizzata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp) con l’assistenza dell’inviato del Quartetto Tony Blair, per attirare capitali locali ed internazionali e dare finalmente un impulso al settore privato palestinese.
Si attendevano 500 ospiti e ne sono arrivato quasi 2 mila. E già questo è stato un segno positivo, in un momento in cui la Palestina non veleggia in acque certo tranquille. Sono stato conclusi – a detta degli organizzatori – una cinquantina di contratti nel settore dell’edilizia, dell’agricoltura e delle telecomunicazioni. L’obiettivo era quello di raccogliere promesse di investimento nei Territori per almeno 2 miliardi di dollari. In questo senso i segnali sono stati incoraggianti.
Ma basterà una pioggia di soldi a risolvere i problemi? I dubbi – a Betlemme come nel resto dei Territori – restano consistenti. La vera questione rimasta sullo sfondo è quella della libera circolazione delle merci e delle persone – oggi praticamente impossibile -: conditio sine qua non per un vero sviluppo economico della regione. Senza la pace, senza l’abbattimento di muri, barriere e check point, difficilmente la Palestina potrà uscire dal baratro (anche economico) nel quale sembra essere precipitata. E per superare questo scoglio, l’iniziativa di Betlemme – per quanto meritoria – difficilmente potrà bastare.