Betania. Nome che risuona dolce della familiarità di una casa accogliente, che evoca il riposo di un abbraccio amico, che grida una vita liberata dal sepolcro, che si impregna dell’abbondanza di un unguento versato con larghezza. Betania è profumo di vita. In questo villaggio, timidamente raccolto sul fianco orientale del monte degli Ulivi, presso la strada che da Gerusalemme conduce verso Gerico, si attarda indugiando il sospiro della grande città, prima di andare a smorzarsi nel deserto.
Il brusio delle attività di Gerusalemme, le voci sovrapposte e indaffarate dei venditori e dei pellegrini, l’odore acre e intenso dei sacrifici nel Tempio, giungono stemperati nel respiro del vento, e cedono spazio alla dolcezza dell’ascolto ai piedi del Maestro, all’intimità confidente di una cena fra amici, al profumo buono del nardo che si mescola con quello degli ulivi del Getzemani. Gesù a Betania trova accoglienza e riposo nella casa di Marta, Maria e Lazzaro.
Questa casa ci insegna, nel gesto silenzioso di Maria seduta ad ascoltarlo, quale sia l’unica cosa necessaria, la parte migliore che dobbiamo desiderare (Lc 10,38-42). Da questa casa escono in fretta le due sorelle per andare incontro a Gesù, nel credito di una speranza che asciuga le lacrime per la morte del loro fratello (Gv 11,1-45). E l’odore di morte di un uomo già da quattro giorni nel sepolcro diventa alito di vita nelle parole di Gesù che chiama. Il grido del Figlio, ascoltato dal Padre, scioglie dalle bende della morte le mani e i piedi di Lazzaro.
La parola della Pasqua si staglia ora nitida nella vita di Gesù, e la vita ridonata a Lazzaro è annuncio di resurrezione che, nel Figlio, è data ad ogni uomo. Davanti alla pietra rimossa dalla tomba la tenerezza umana del Cristo si fonde con la potenza e la verità della proclamazione: «Io sono la resurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11, 25-26).
Questo fatto ha conseguenze serie per Gesù: il grande numero di giudei che per quel segno credono in lui desta viva preoccupazione fra i sommi sacerdoti e i farisei e il dono di vita offerto dal Cristo determina la decisione della sua condanna a morte. Un altro gesto compiuto a Betania lascia intuire che l’ora sta per compiersi. Ci è offerto nell’icona di una donna che non teme di affrontare lo sguardo e i giudizi interessati dei commensali, rompere un vaso di alabastro e versare senza riserve tutto il prezioso olio di nardo. Non teme – lei, donna – di sfidare ogni conveniente prudenza e di toccare il corpo di Gesù, ungendolo con quel profumo, delicatamente asciugandolo con i propri capelli. Gesto accolto da Gesù : «Essa ha fatto ciò che era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura» (Mc 14, 8-9).
Gesto che rivivrà nella vita di Chiara che, sei giorni prima della Pa squa, seguendo i passi di Francesco, inizia a percorrere la via del Figlio di Dio. Chiara che, come è detto nella Bolla di canonizzazione, «spezzando duramente nell’angusta solitudine della sua cella l’alabastro del suo corpo, riempiva degli aromi della sua santità l’intero edificio della Chiesa» (Fonti Francescane, 3285).
Betania ci insegna dunque il profilo di un discepolo che dimora nello spazio della Pasqua, là dove il duello tra morte e vita arriva alla resa dei conti e invade l’esperienza concreta di ciascuno, toccando gli affetti più cari, toccando la propria stessa vita (Tommaso ce lo ripete: «Andiamo anche noi a morire con lui», Gv 11,16). Duello già affrontato e vinto nella carne del Figlio, ma che ancora e sempre interpella la nostra risposta, invitata, nella fede, ad andare oltre l’evidenza della rigidità e del cattivo odore del cadavere. Betania ci suggerisce lo stile di un discepolo che sa farsi spazio accogliente per ospitare il fratello.
Betania ci dipinge il volto di un discepolo che sa riconoscere la visita del Signore, che resta alla sua presenza sedendosi ai suoi piedi in ascolto. Infine ci consegna il gesto di un discepolo che entra nella logica del Maestro e si fa profezia della parola della Pasqua, versando tutto di sé, oltre l’apparenza dello spreco.
(L’autrice è claustrale a Milano nel monastero di Santa Chiara)