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Anche un’impresa vitivinicola salesiana vittima del Muro

30/06/2008  |  Betlemme
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Anche un’impresa vitivinicola salesiana vittima del Muro
Il monastero di Cremisan, proprietà salesiana circondata da vigne e ulivi alle porte di Betlemme.

Da oltre un secolo le cantine di Casa Cremisan, nei pressi di Betlemme, sono famose per la loro produzione vinicola, i cui proventi hanno concorso a migliorare lo standard di vita di migliaia di palestinesi del posto. Oggi, però, la costruzione della «barriera di sicurezza» voluta da Israele mette a repentaglio tutto il buon lavoro compiuto fin qui. Quel muro di nove metri sta per sbarrare ogni accesso ai vigneti e al monastero gestito dai salesiani e minaccia di impedire ai dipendenti, in gran parte palestinesi di religione cristiana, di raggiungere il loro posto di lavoro. Secondo Amer Kardosh, responsabile delle esportazioni di Cremisan, Israele sta trasformando l'azienda vitivinicola in una «prigione».


Da oltre un secolo le cantine di Casa Cremisan, nei pressi di Betlemme, sono famose per la loro produzione vinicola, i cui proventi hanno concorso a migliorare lo standard di vita di migliaia di palestinesi del posto. Oggi, però, la costruzione della «barriera di sicurezza» voluta da Israele mette a repentaglio tutto il buon lavoro compiuto fin qui.

Quel muro di nove metri sta per sbarrare ogni accesso ai vigneti e al monastero gestito dai salesiani e minaccia di impedire ai dipendenti, in gran parte palestinesi di religione cristiana, di raggiungere il loro posto di lavoro. Secondo Amer Kardosh, responsabile delle esportazioni di Cremisan, Israele sta trasformando l’azienda vitivinicola in una «prigione» con tutta una serie di posti di blocco dove il transito dei lavoratori dell’azienda viene consentito solo due volte al giorno: una per raggiungere il posto di lavoro, l’altra per tornare a casa.

A chi fosse sprovvisto di un permesso speciale non è più possibile visitare l’area di Betlemme, che si trova a soli dieci minuti d’auto da qui. Visitatori e turisti possono venire solo da Israele, via Gerusalemme. «Saremo tagliati fuori dalla Palestina e questa è la cosa più tragica» dice Kardosh a Terrasanta.net. «Il problema non è solo nostro. Il muro rappresenta un problema per tutti, ma la zona di Cremisan, nota per il suo monastero e la produzione vinicola, assume una valenza simbolica».

Il muro rende difficile ai salesiani anche ricevere i raccolti delle vendemmie. Cremisan ha sempre acquistato i grappoli dai coltivatori che si trovano ora sul versante palestinese del muro per cui anche questa operazione di approvvigionamento va incontro a grossi ostacoli.

Della Shenton, importatrice di vini Cremisan nel Regno Unito, spiega che i salesiani «hanno fatto moltissimo» per i palestinesi di Betlemme. «Con il loro approccio caritatevole danno da vivere alla gente del posto».

I religiosi italiani fondarono l’azienda vinicola nel 1885 su una proprietà ricevuta in eredità, con l’obiettivo di dare lavoro alla popolazione locale. Gradualmente è stata messa a punto l’attività commerciale, fino a raggiungere l’autosufficienza economica per poi destinare i proventi al finanziamento delle proprie scuole e alla gestione di un panificio a Gerusalemme. «I salesiani hanno sempre sfamato le famiglie più povere», spiega la Shenton, che in Inghilterra ha fondato e dirige la società senza fini di lucro 5th Gospel Retreat, impegnata a organizzare pellegrinaggi in Terra Santa e a commercializzare prodotti palestinesi.

Lo scorso anno i salesiani resero pubblica una dichiarazione di protesta in cui spiegano che la comunità di Cremisan è vittima «di una decisione unilaterale delle autorità israeliane», decisione che infrange il diritto internazionale. Precisavano anche che la costruzione del muro sulla loro proprietà ha contribuito a ridurre un danno ancora maggiore al vicino villaggio di Al-Walajeh.

Cremisan è un’area sottoposta a occupazione e quindi non è previsto alcun diritto di appellarsi ad altre autorità israeliane. «A decidere è solo l’amministrazione militare. Perciò non hai qualcun altro da cui andare per chiedere gentilmente di cambiare le cose» osserva Kardosh, palestinese e cristiano.

L’arbitrarietà dei soldati è un esempio lampante e una notevole fonte di frustrazione. «Se decidono che oggi non puoi attraversare il check-point, devi tornare indietro anche se hai con te i moduli richiesti, le fatture, i documenti legali e fiscali e tutto il resto in ordine», dice Kardosh. «Non c’è nulla che tu possa fare». Soltanto il Natale scorso, l’intransigenza dell’esercito ha costretto l’azienda vinicola ad annullare una grossa spedizione in Giappone.  

Il governo di Israele sostiene che il muro è necessario per ridurre gli atti di terrorismo e afferma che in effetti sta funzionando. La Shenton è d’accordo fino a un certo punto. «C’è del vero, gli attentati suicidi si sono enormemente ridotti» ammette, ma aggiunge anche che gli israeliani stanno usando «un approccio molto aggressivo. I palestinesi vengono continuamente vessati quando chiedono di varcare i posti di controllo. Subiscono umiliazioni continue e ampiamente documentate. Non si può far a meno di domandarsi cosa c’entri tutto ciò con la sicurezza».

Nonostante tutte le difficoltà esterne i salesiani continuano a piantare vigne e tirano avanti meglio che possono.

«Tutto ciò è molto triste ma i salesiani continueranno ad essere un segno di speranza e non vogliono farsi piegare troppo da quanto accade», dice la Shenton. La quale è convinta che il muro cadrà se ci sarà un’«ondata di protesta sufficientemente forte». Ma ciò accadrà solo quando la gente sarà meglio informata e vedrà coi proprio occhi le ingiustizie che gli israeliani stanno infliggendo alla gente di qui.

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