Da un paio di giorni non si spara più in Libano. E prontamente il Paese dei Cedri è scomparso dalle pagine dei nostri giornali. La disattenzione generale verso le sorti di questa terra è un segno eloquente della terribile miopia con cui tendiamo a leggere i fatti che riguardano questa regione del mondo. Tre anni fa tutti ci eravamo scaldati per la «primavera di Beirut»: c'erano i siriani da rimandare a Damasco, sarebbe bastato questo per ridare dignità e libertà al Libano. Le cose non sono andate così. E adesso ci ritroviamo in una situazione scivolosissima. Cosa non ha funzionato? Due articoli usciti in queste ore sulla stampa araba provano a dare qualche risposta.
Da un paio di giorni non si spara più in Libano. E prontamente il Paese dei Cedri è scomparso dalle pagine dei nostri giornali. La disattenzione generale verso le sorti di questa terra – dove ormai da tempo i principali protagonisti della politica mediorientale stanno combattendo una guerra per procura – è un segno eloquente della terribile miopia con cui tendiamo a leggere i fatti che riguardano questa regione del mondo. Tre anni fa tutti ci eravamo scaldati per la «primavera di Beirut». Perché allora era facile: c’erano i siriani da rimandare a Damasco, sarebbe bastato questo per ridare dignità e libertà al Libano. Le cose non sono andate così. E adesso ci ritroviamo con un Paese paralizzato dalle lotte tra le fazioni (e i loro padrini vicini e lontani). Una situazione scivolosissima. Che cosa non ha funzionato? Due articoli usciti in queste ore sulla stampa araba provano, dall’interno, a dare qualche risposta.
Sul quotidiano libanese The Daily Star David Ignatius prova a tracciare un bilancio di questi tre anni. E arriva a una conclusione difficilmente smentibile: in questo clima il vero vincitore è l’Iran e gli sconfitti sono i politici moderati dell’intero fronte arabo. Attraverso gli Hezbollah – sostiene Ignatius – l’Iran sfodera la spada, dissangua i moderati quanto basta per mostrare il suo potere, e poi la rimette nel fodero. Ma può farlo perché il suo alleato più prezioso è la polarizzazione del Medio Oriente, alimentata dalla stessa Casa Bianca schiava dei suoi riflessi condizionati. «L’amministrazione Bush non sa negoziare mai un compromesso – spiega il giornalista del quotidiano libanese -. Con la sua potenza militare accumula un sacco di carte, ma non le getta sul tavolo da gioco». È successo nel 2003 dopo la caduta di Saddam Hussein, è successo nel 2006 quando la suprema guida iraniana Ali Khamenei offrì un patto per «stabilizzare» l’Iraq, è successo con le aperture della Siria che cercava a Washington una sponda per il negoziato con Israele. Adesso sta succedendo la stessa cosa in Libano. Washington ragiona sempre e solo in termini di vittoria o sconfitta totale. Forse – conclude l’articolo di The Daily Star – «gli americani dovrebbero imparare a rapportarsi con l’"altro" se vogliamo davvero tirar fuori il Medio Oriente dalla palude».
Sul problema delle milizie in Libano (e non solo) si concentra invece un articolo del quotidiano palestinese Al-ayyam, rilanciato in inglese dal sito internet Miftah. È un intervento in cui si usa un paragone molto forte: si dice che le milizie che imperversano oggi in tanti Paesi arabi sono la nuova Nakba, cioè una catastrofe uguale alla sconfitta araba nella guerra del 1948. Il caso di Hezbollah è emblematico: «Una volta – scrive Al-ayyam – era un movimento impegnato nella liberazione del Sud del Libano dall’invasione israeliana. Da allora si è trasformato in una milizia che minaccia la stabilità, la sicurezza e l’unità del Libano». La lezione – scrive il quotidiano palestinese – è che il mondo arabo deve imparare a «esaminare criticamente» ogni movimento; «la "resistenza" non può più essere adulata e riverita perché considerata legittima in sé e per sé». Ed è un discorso che vale – pari pari – anche per il contesto palestinese: «È evidente – conclude il quotidiano – che i signori della guerra palestinesi non abbandoneranno mai i loro tentativi di eliminare e occupare ciò che resta dell’Autorità Palestinese, perché così si garantiscono un ruolo anche in futuro». Ma questa – appunto – è la nuova Nakba.
Due analisi chiare sulle ragioni della palude libanese. Due voci che chiedono scelte coraggiose. Le uniche che possono permettere davvero al Medio Oriente di non continuare a vivere alla giornata.
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