Sembra ormai segnata la sorte di Ehud Olmert. Dopo la deposizione del miliardario americano Morris Talansky, che ha dichiarato di avergli versato in 15 anni 150 mila dollari di finanziamenti illeciti, il leader laburista e ministro della difesa Ehud Barak ha ufficialmente chiesto le dimissioni dell'uomo che l'improvvisa malattia di Sharon catapultò alla guida di Israele. E anche il ministro degli esteri Tzipi Livni, la sua alleata-avversaria dentro il partito Kadima, ha parlato di elezioni entro l'anno. Non è la prima volta che Olmert finisce sul banco degli imputati per l'accusa di corruzione e ormai si parla del suo tramonto, come si vede chiaramente dal tono degli articoli di queste ore su tutti i giornali del Medio Oriente.
Sembra ormai segnata la sorte di Ehud Olmert. Dopo la deposizione del miliardario americano Morris Talansky, che ha dichiarato di avergli versato in 15 anni 150 mila dollari di finanziamenti illeciti, il leader laburista e ministro della difesa Ehud Barak ha ufficialmente chiesto le dimissioni dell’uomo che l’improvvisa malattia di Sharon catapultò alla guida di Israele. E anche il ministro degli esteri Tzipi Livni, la sua alleata-avversaria dentro il partito Kadima, ha parlato di elezioni entro l’anno.
Non è la prima volta che Olmert finisce sul banco degli imputati per l’accusa di corruzione. Tra l’altro – in passato – gli addebiti contro di lui erano stati anche più pesanti. Per non parlare, poi, delle accuse rivoltegli dalla Commissione Winograd, la commissione di inchiesta sulla guerra del 2006 in Libano. Tutte tempeste che avevano comunque visto l’ex sindaco di Gerusalemme restare a galla. E anche stavolta lui dice che non si dimetterà. Ma ormai le sue sono solo parole, come si vede chiaramente dal tono degli articoli di queste ore su tutti i giornali del Medio Oriente.
Interessante – su Yediot Ahronot – l’epitaffio che ne traccia Yigal Sarna, una delle penne più graffianti del giornalismo israeliano. «L’uomo che volle essere re» è il titolo di questo ritratto al vetriolo, che aiuta a ricostruire il lato meno noto all’estero di questo leader politico da sempre discusso in Israele. «Per molti anni – scrive Sarna – Olmert ha fatto quello che ha voluto, al punto di perdere ogni senso del limite e gettare al vento ogni prudenza». Da sindaco di Gerusalemme «ha approvato edificazioni su montagne vuote e autorizzato torri che hanno distrutto paesaggi antichi. Viveva come un re anche nei momenti più duri». «È possibile – aggiunge il giornalista – che se non fosse finito sulla poltrona di primo ministro, sarebbe morto come un uomo giusto, lasciando i suoi tesori e i suoi appartamenti ai figli. Ma egli – è la laconica conclusione – volle invece diventare re».
Non è, però, solo Olmert a uscire di scena. Le vicende di queste ore sono anche lo stop definitivo al già da tempo traballante negoziato di pace avviato ad Annapolis. Ne è assolutamente convinto il quotidiano saudita Arab News. «Qualunque sia l’esito delle trattative per formare una nuova coalizione di governo – si legge nell’editoriale dedicato al caso Olmert – quel che è certo è che il processo di pace si fermerà ancora una volta». Anche perché il favorito alle eventuali elezioni anticipate in Israele è il leader del Likud Benjamin Netanyahu. E adesso – in campagna elettorale – anche laburisti e Kadima cercheranno di recuperare terreno a destra. Inutile illudersi ancora che questa stagione sia compatibile con le concessioni necessarie per far nascere «lo Stato palestinese entro la fine del 2008» preconizzato (ma senza sforzi veri sul campo) da George W. Bush. Olmert, stavolta, non se la caverà. Ma non per via dei famosi 150 mila dollari. Gli israeliani hanno chiuso gli occhi su ben altro durante gli anni di Sharon. Ma ormai sono stanchi di un leader che promette svolte storiche, ma alla prova dei fatti non sa comportarsi da leader. Con Olmert è finita una stagione politica in Israele. E probabilmente il processo di pace ha perso l’ennesima buona occasione.
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