Ho cominciato a scrivere queste righe a Washington mentre fervevano i preparativi per l’arrivo del Santo Padre in visita agli Stati Uniti e all’Organizzazioni delle Nazioni Unite, e nel bel mezzo di un’interminabile campagna elettorale che culminerà a novembre con l’elezione del nuovo presidente di questo grande Paese. Voteranno soltanto i cittadini statunitensi, ma la loro scelta avrà, come sempre, un’importanza enorme per tutto il resto del pianeta, compresa la Terra Santa, le due nazioni che vi hanno la loro patria e la Chiesa che la ritiene sua patria spirituale perché testimone nei secoli e nei millenni delle grandi opere di Dio, teatro dell’Evento della nostra Redenzione.
Diversi possono essere, e sono, i pareri, negli Stati Uniti come altrove sulle politiche che questo Paese ha messo in pratica o debba adottare nelle vicende internazionali. Incontrovertibile è il potere dell’America di essere determinante nella ricerca della pace per la Terra Santa – come anche altrove, ovunque.
Continuo a scrivere a Roma, mentre i cittadini italiani si recano alle urne per eleggere il loro nuovo governo. L’esito dipende unicamente dagli aventi diritto al voto. Ma il lavoro del governo uscito dalle elezioni interessa anche tantissime altre persone fuori dall’Italia, compresi noi della Terra Santa. Come uno dei maggiori Paesi membri dell’Unione Europea e fondatore della medesima, l’Italia, assieme ai suoi partner europei, può avere un ruolo chiave nella ricerca della pace per la patria terrena del Principe della Pace. Concludo queste righe da Gerusalemme, la città santa, per la quale «coloro che la amano» (come dice il Salmista) chiedono da millenni proprio questo: la pace.
La «pace di Gerusalemme» interessa tutti, interpella tutti, obbliga tutti, non solo a cercarla, ma a trovarla effettivamente. La «pace di Gerusalemme», della Terra Santa, non può essere lasciata soltanto alle tribù in guerra localmente, perché esse, pur desiderandola, non trovano – oramai da troppi decenni – la via di superare definitivamente le loro «narrative» contrastanti. Eppure soltanto un tale superamento – lungimirante, coraggioso e generoso, dei particolarismi in lotta fratricida – sarà capace di appagare gli animi, di risparmiare le vite delle tante vittime diversamente «prevedibili», di ridare speranza a chi oramai sembra averla persa, di appianare la via a uno sviluppo reciprocamente solidale.
Da una parte e dall’altra non mancano i volenterosi, ma sempre più sembrano imprigionati dalla propria percezione della propria storia, dal dolore delle rispettive ferite, dal senso della giustizia delle proprie rivendicazioni, dalle proprie dichiarazioni e piattaforme ideologiche del proprio passato, dalla paura di rinunciare ai propri diritti o alle proprie garanzie e misure di tutela, secondo i casi. Serve invece l’abbraccio forte e capace di sostegno della comunità dei Paesi civili, delle democrazie affermate, alla guida della comunità internazionale nel suo insieme.
Più che mediatori tra posizioni oramai fin troppo palesemente inconciliabili, alla Terra Santa necessitano guide sicure ed affidabili, che sappiano essere ferme, che prendano l’iniziativa e offrano le garanzie – di libertà e di sicurezza – per gli uni e per gli altri, che offrano non soltanto i buoni consigli, o i nobili sentimenti, ma anche tutto il sostegno, materiale e morale, che potrà essere richiesto in questo cammino.