A fine marzo, per la prima volta, il vertice della Lega araba, l’organismo che raggruppa 22 Paesi del Medio Oriente e dell’Africa musulmana, si è svolto in territorio siriano. Ci si aspettava di più, vista la novità. Ma la conclusione è stata modesta: un vago impegno per la crisi libanese, maggior attenzione al contesto iracheno, prosecuzione del dialogo con Israele.
Il vertice è stato segnato dai dissidi palesi tra Libano e Siria. Beirut ha boicottato il vertice, accusando la Siria di frenare i tentativi di eleggere un nuovo presidente. Altri Paesi, fra cui Egitto, Arabia Saudita, Giordania, hanno inviato a Damasco una rappresentanza non di primo livello (diplomatici e non capi di Stato), per sottolineare le divergenze con il governo di Bashar el-Assad su molte questioni di politica estera (era presente, su invito siriano, anche un rappresentante di Teheran in veste di osservatore).
Insomma, l’immagine uscita dal vertice (che voleva essere una sorta di «premio» a Damasco per aver partecipato, seppure in extremis, ad Annapolis, rientrando anche ufficialmente nei giochi del processi di stabilizzazione del Medio Oriente) è stata quella di un mondo diviso al suo interno e dilaniato da questioni drammatiche: il Libano, l’Iran e gli Hezbollah libanesi, Gaza e l’Iraq insanguinato.
Nota positiva, la riproposizione dell’iniziativa saudita per la pace con Israele, che prevede rapporti diplomatici di tutti gli Stati arabi con Israele in cambio della pace coi palestinesi e del ritorno dei profughi.
Ma c’è da chiedersi se un mondo arabo tanto frammentato avrà la forza di portare avanti una proposta che non smette di essere un’ottima chance per la pace.