I segni di pace e di speranza, in Medio Oriente, vanno cercati e fatti conoscere. Per questa ragione va accolta con attenzione, a nostro avviso, la proposta, lanciata a metà marzo dal re saudita Abdullah II, di avviare un dialogo tra rappresentanti di cristianesimo, ebraismo e islam. Il sovrano non ha specificato dove e quando intenda lanciare questa iniziativa, ma ha tenuto a sottolineare di averne già discusso con Benedetto XVI durante la visita in Vaticano, nel novembre scorso, una prima assoluta per il «custode» dei luoghi santi dell’islam. Tra i temi che il re d’Arabia vorrebbe vedere discussi dai rappresentanti delle tre religioni abramitiche, il tema del bene comune, la disgregazione della famiglia sotto l’urto della secolarizzazione e l’avanzata dell’ateismo.
Un meeting delle religioni promosso dal sovrano di Riyadh potrebbe avere un impatto positivo a molti livelli nei Paesi a maggioranza musulmana del Medio Oriente. Intanto renderebbe inevitabile affrontare il tema della libertà religiosa all’interno del regno, dove vive attualmente ben più di un milione di cristiani. L’Arabia Saudita non ha relazioni diplomatiche con la Santa Sede ed è rimasto il solo Paese della penisola arabica (dopo la costruzione della prima chiesa in Qatar) a vietare – e reprimere – ogni culto pubblico che non sia quello musulmano. L’iniziativa di Abdullah potrebbe poi costituire un altro passo significativo verso un dialogo serio, sincero e costruttivo tra le religioni, per cercare davvero ciò che unisce e non ciò che semina divisione. Per superare cioè le contrapposizioni politiche e ideologiche portate avanti in nome di Dio. E dire al mondo, davvero, una parola comune di amore e condivisione.