La gloria di Maria viene dalla sua fede, e non dal fatto di appartenere al popolo ebraico. «Beata colei che ha creduto», dice Elisabetta a Maria. Però la nostra fede nell’incarnazione ci costringe a reinserire Maria e Gesù nel loro contesto sociale e religioso della Galilea del primo secolo.
Ogni mattina Maria, come tutte le donne ebree, recitava una benedizione quando si svegliava: «Benedetto sei tu Signore che mi ha creato secondo la tua volontà». Gli uomini invece recitavano tre benedizioni diverse. In altre parole ogni giorno Maria accettava la sua condizione di donna, che in Oriente era inferiore a quella dell’uomo. Faceva memoria che era una creatura di Dio e che Dio aveva coronato la sua creatura di gloria e di onore come dice il Salmo 8.
Maria sapeva come tutti gli ebrei che il corpo dell’uomo e della donna è un tempio dello Spirito. Filone di Alessandria e Paolo di Tarso avevano sviluppato questa teologia. Come Tempio ciascuno porta in se la sua Menorah sul suo viso dove ci sono sette aperture. Quindi accendere la Menorah del volto significa fare un sorriso all’altro, riguardarlo con simpatia e trasmettere la luce dello Spirito.
Maria aveva possibilità di recarsi alla sinagoga, perché nel primo secolo le sinagoghe erano molto semplici: una stanza rettangolare con una porta. Le sinagoghe antiche di Gamla, Gerico e Massada sono conosciute. I testi del Talmud dicono espressamente che le donne potevano recarsi nella sinagoga. Anche se per le donne non c’era nessun obbligo di pregare alla sinagoga, c’è un fatto da ricordare: le più belle preghiere della Bibbia sono preghiere di donne (il canto di Myriam, sorella di Mosè, il canto di Debora, il canto di Anna, le preghiere di Ester).
Maria alla sinagoga poteva memorizzare facilmente le preghiere delle donne di cui parla la Bibbia. E ascoltava la recita quotidiana da parte degli uomini della preghiera dello Shema Israel. Ascoltava i poemi del Servo di Dio che ricordavano che la missione di Israele è di portare la luce nel mondo. Anche Maria entrerà in questa prospettiva accettando di essere la serva del Signore.
Quando visiterà Elisabetta si ricorderà di tanti passi della Scrittura nel suo Magnificat, il che testimonia la sua conoscenza delle Scritture.
Il giudaismo non è una ortodossia, ma una ortoprassi. L’albero si riconosce dai frutti. Sappiamo che il giudeo si distingue quando pratica le opere di carità. Il Targum di Gen 35, 9 offre la lista delle opere di carità: partecipare ai matrimoni, perché Dio ha unito Adama ed Eva; rallegrarsi con chi è nella gioia e piangere con chi piange. Visitare i malati, consolare quelli che piangono, seppellire i morti, dividere il pane con l’affamato e vestire gli ignudi.
Maria, donna ebrea, mette in pratica queste opere di carità. Assiste al matrimonio di Cana, perché era la prima opera di carità da fare per un ebreo. È chiaro che il Vangelo di Giovanni non limita il segno di Cana a questo senso letterale. Aggiunge un senso spirituale molto più ricco. Maria pratica anche un’altra opera di carità: va a trovare Elisabetta, sua cugina, che è incinta. Di nuovo Luca non riduce la scena a questo senso letterale. Ma non si può eliminare questo senso letterale.
Nell’apocrifo conosciuto sotto il titolo di Dormizione di Maria, prima di morire, Maria chiede a una sua serva di dare i suoi vestiti dopo la sua morte ai poveri. Di nuovo l’apocrifo presenta Maria come una donna che mette in pratica le opere di carità.
Il giudaismo insiste molto sulle regole di purità, specialmente per la donna. Maria ha osservato queste regole. A Nazaret furono trovati tre miqwaot, bagni per le purificazioni delle donne. Sappiamo che 40 giorni dopo la nascita di Gesù Maria si reca a presentare il figlio al tempio e offre secondo la legge di Mosè il sacrificio per i poveri: «Quando venne il tempo della loro purificazione, portarono il bambino a Gerusalemme». Lev 12, 2-4 dice che quando una donna darà alla luce un maschio sarà immonda per sette giorni. L’ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi rimarrà 33 giorni a purificarsi dal suo sangue: non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Maria ha osservato queste norme senza pretendere nessun privilegio.
Ogni sabato Maria preparava la candela sulla mensa di famiglia ed aveva il privilegio di recitare la benedizione quando accendeva la candela: «Benedetto sei tu Signore che ci hai chiesto di accendere la luce». La donna trasmette la luce divenendo madre. Il fariseo Paolo lo ripeterà: la donna si salva divenendo madre (1Tim 2,15). Dopo questa cerimonia seguiva il pranzo, e generalmente dopo la cena venivano eseguiti alcuni canti. Il sabato doveva essere un oneg, un piacere, perché ricordava la creazione. Dio stesso si era riposato dopo aver creato il cielo e la terra.
Maria compiva il pellegrinaggio a Gerusalemme. Sappiamo dalla Bibbia che solo i maschi avevano l’obbligo di recarsi tre volte all’anno a Gerusalemme «per essere visti dal Signore». Ma le fonti giudaiche ci dicono che nel primo secolo, probabilmente sotto l’influsso dei greci e dei romani, le donne volevano venire anch’esse in pellegrinaggio. Anche il Nuovo Testamento lo conferma: famiglie intere salivano a Gerusalemme. Per la festa di Succot, si dava un posto speciale alle donne. La cerimonia veniva chiamata: la gioia dell’attingimento dell’acqua (simhat bet ha shoeva).
Quando all’età di 12 anni Gesù fa la sua Bar Mitswa (anche se il termine è tardivo la realtà esisteva già come risulta dalla Mishna Abot) Maria è presente con lui. Giuseppe recita la benedizione: «Benedetto sei tu Signore che mi hai tolto la responsabilità di questo ragazzo». A Nazaret Giuseppe e Gesù recitavano ogni mattino e ogni sera lo Shema Israel (Deut 6,4). Maria ascoltava, si univa in silenzio alla loro preghiera, come ogni donna educata fa. Giuseppe e Gesù recitavano la preghiera del Qaddish quando avevano letto un brano della Scrittura. Anche in questa occasione Maria ascoltava: «Che sia esaltato, glorificato, celebrato il suo Nome santo. Che venga il suo regno nei nostri giorni». Maria sapeva che la santificazione del nome veniva fatta non in parole, ma nella vita. Negli apocrifi, in modo speciale nel Protovangelo di Giacomo, Maria viene presentata come nuova Sara, nuova Rebecca e nuova Rachele. Già Luca presenta Maria come nuova Sara. «Niente è impossibile a Dio», la frase dell’angelo si trova già nel racconto della promessa fatta a Sara la donna sterile: «Niente è impossibile a Dio».
L’apocrifo della Dormizione di Maria presenta gli ultimi giorni di Maria sotto forma di testamento. Sappiamo che il genere letterario del testamento era molto usato. Maria dà le ultime volontà a Giovanni e a Pietro. Poi celebra la sua ultima Festa delle tende, perché questa festa era presentata come anticipazione della celebrazione della risurrezione dei corpi. Maria prende la palma, si reca sul Monte degli Ulivi, il monte della Risurrezione. La cerimonia della sepoltura viene celebrata come nel mondo ebraico. Gli apostoli cantano il salmo di Pasqua: «Quando Israele usci dall’Egitto». L’iconografia bizantina sfrutta molto questo testo apocrifo per evocare gli ultimi momenti terrestri di Maria. Siccome la tradizione giudaica aveva riconosciuto che Myriam, la sorella di Mosé, era morta con un bacio di Dio (al pi Adonai) e che non aveva conosciuto la corruzione della tomba, la comunità giudeo-cristiana dirà che Maria è la nuova Myriam. Come nuova Myriam muore in un bacio del figlio: Gesù si avvicinò a sua madre, la baciò e prese la sua anima, che consegnò nelle mani dell’arcangelo Michele. Maria non ebbe la visita dell’angelo della morte.
Fermiamoci un istante sul Magnificat che non è opera della teologia di Luca, ma espressione della fede biblica di Maria. È importante correggere lo sbaglio di traduzione: «Ha guardato l’umiltà della sua serva». Tapeinosis non significa umiltà, ma condizione umile e povera. Luca è l’evangelista dei poveri. Se Maria vantasse la sua umiltà, che tipo di umiltà sarebbe?
I due versetti che manifestano l’intenzione della lode (Lc 1,46b-47: «L’anima mia magnifica il Signore perché ha guardato l’umiltà della sua serva» ) trovano molti riscontri puntuali nei Salmi: «Benedici, anima mia, il Signore e quanto è in me il suo santo nome (…) Benedici, anima mia, il Signore» (Sal 102,1.22; cfr. 103,1.35). Nel riferirsi alla sua esperienza religiosa, Maria riprende atteggiamenti di donne del passato, in particolare di Anna, per il motivo della gioia della salvezza e per l’espressione «ha guardato l’umiltà (tapeinosis) della sua serva»: «Mi sono rallegrata nella sua salvezza» (1 Sam 2,1). «(Signore…) se davvero guarderai l’umiltà della tua serva…» (1 Sam 1,11).
Il tema della beatitudine risuona nelle parole della madre d’Israele Lea e anche in quelle di Giuditta: «Benedetta sono io, perché le donne mi chiameranno beata» (Gen 30,13). «Quando entrarono da lei, la benedissero tutti insieme e le dissero: «Tu sei la glorificazione di Gerusalemme, tu il grande orgoglio di Israele, tu il grande vanto della nostra gente» (Gdt 15,9).
Un altro ricordo di Sara si trova nei motivi: «Un sorriso fece per me il Signore, infatti chiunque sentirà ciò, si rallegrerà con me» (Gen 21,6).
Maria viene presentata come orante secondo il modello dei Salmi che lei recitava. Basta citare alcuni versetti dei salmi: «La mia anima esulterà nel Signore / si rallegrerà nella sua salvezza» (Sal 34,9). «Esulterò e mi allieterò nella tua misericordia / poiché hai rivolto lo sguardo alla mia umiltà» (Sal 30,8). «(Il Signore…) santo e terribile è il suo nome» (Sal 110,9).
L’affermazione del Magnificat circa la misericordia perenne di Dio (v. 50) ha un parallelo nel Sal 102: «Poiché come l’altezza del cielo dalla terra / il Signore magnificò la sua misericordia su coloro che lo temono (…) / Come un padre ha pietà dei figli, / il Signore ha avuto pietà di coloro che lo temono (…) E la misericordia del Signore è da sempre e per sempre su coloro che lo temono / e la sua giustizia sui figli dei figli» (Sal 102,11.13.17).
La misericordia, che è il comportamento costante di Dio, è il tema guida del Magnificat che collega l’esperienza personale di Maria a quella di Israele. Maria legge l’opera di Dio in lei alla luce delle opere antiche in favore del popolo («ha fatto per me cose grandi – ha fatto prodezze col suo braccio») e, viceversa, vede il futuro del popolo mutato dall’opera che Dio ha fatto in lei. Quest’opera non solo corrisponde all’agire passato del Signore e al suo costante comportamento verso gli uomini, ma addirittura costituisce il compimento delle promesse fatte ai padri a favore dei discendenti di Abramo.