L'intreccio tra odio e religioni è uno degli aspetti che da sempre inquietano di più tutti noi che con passione seguiamo le vicende della Terra Santa. Giungono allora provvidenziali due festività religiose, la Pasqua cristiana e il Purim ebraico, che celebreremo nelle prossime ore. Sono ricorrenze che - grazie a due articoli pubblicati da un giornale palestinese e uno israeliano - ci aiutano oggi a tornare a guardare il volto più autentico delle religioni.
L’intreccio tra odio e religioni è uno degli aspetti che da sempre inquietano di più tutti noi che con passione seguiamo le vicende della Terra Santa. E gli ultimi giorni – con la strage alla scuola rabbinica Mercaz HaRav e il successivo pronunciamento del rabbino ultra-ortodosso Chaim Kanievsky secondo cui oggi sarebbe peccato per un ebreo dare lavoro a un arabo – sono stati particolarmente duri da questo punto di vista.
Giungono allora provvidenziali le festività religiose di queste ore: la Pasqua cristiana, il Purim ebraico e la festa della nascita del profeta Maometto. Sono ricorrenze che – grazie a due articoli pubblicati da un giornale palestinese e uno israeliano – ci aiutano oggi a tornare a guardare il volto più autentico delle religioni.
Sul sito palestinese Miftah Bernard Sabella, parlamentare cristiano di Betlemme, si interroga infatti intorno al significato di queste feste. «La Risurrezione – scrive – è un processo ciclico dall’inverno alla primavera, dalla morte alla vita, dalla guerra alla pace. (…) Ma la celebrazione della risurrezione, per essere piena, ha bisogno del nostro impegno. In Palestina e in Israele il conflitto deve finire. Chi crede che sia nel proprio interesse la sua continuazione, chiama solo ulteriori disastri e nega a tutti noi la possibilità di sperimentare la sfida esaltante della pace. Chi insiste nel dire che l’altra parte capisce solo il linguaggio della forza, costruisce una catena di vendette che ci getterà tutti nella disperazione. Con le feste ebraiche, musulmane e cristiane che coincidono con i segni esteriori della primavera qui in Terra Santa – conclude Sabella – tutti noi siamo chiamati a convertirci dalla guerra alla pace, dalla morte e distruzione alla vita e alla speranza».
Ma come tradurre questo desiderio in un passo concreto? Un consiglio interessante viene proprio da un aspetto della festa di Purim che oggi Arutz Sheva, il sito vicino agli ebrei ortodossi, mette in evidenza. Anticamente – in occasione di Purim – ogni ebreo versava mezzo shekel per la costruzione e la manutenzione del Tempio. Proprio per questo, ancora oggi, i gesti di carità sono uno degli elementi che contraddistinguono Purim. Ma l’aspetto interessante è l’importo: mezzo shekel – scrive Arutz Sheva – era una somma molto modesta, alla portata di tutti. Questa prescrizione religiosa – dunque – era anche un modo per affermare l’uguaglianza di ogni uomo davanti all’Altissimo.
La Pasqua cristiana e il Purim ebraico lo insegnano: è nel rispetto della dignità di ogni persona – perché creata a immagine di Dio – l’essenza più vera di ogni atto religioso. Ed è il messaggio che, in queste ore difficili, in Israele come in Palestina, c’è più bisogno di ascoltare.
Clicca qui per leggere l’articolo di Miftah
Clicca qui per leggere l’articolo di Arutz Sheva