Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

«Una parola comune» per voltare pagina

Paolo Branca
28 gennaio 2008
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Dopo la lectio tenuta da Benedetto XVI a Ratisbona, accanto a inaccettabili e talvolta eterodirette manifestazioni di piazza, il disappunto dei musulmani si era espresso anche in una lettera dai toni piuttosto polemici firmata da alcuni esponenti islamici. Nel primo anniversario di tale evento un numero ancor più consistente di dotti musulmani, ben 138, è tornato sull’argomento, ma con un approccio totalmente diverso, per di più rivolgendosi non solo al Pontefice romano, ma a tutte le autorità cristiane delle varie Chiese (ne abbiamo già parlato nell’editoriale di novembre-dicembre, p. 3 – ndr). Già il titolo – Una parola comune tra noi e voi – riecheggia significativamente un versetto coranico che invita a un’intesa tra monoteisti: «Dì: o Genti del Libro! Venite a una parola comune tra noi e voi: che non adoriamo altri che Dio, e non associamo a Lui cosa alcuna, e che nessuno di noi scelga altri signori accanto a Dio. E se essi non accettano dite loro: testimoniate che siamo coloro che si sono dati completamente a Lui» (3:64).

Nonostante i fraintendimenti e le strumentalizzazioni, dunque, il discorso di Joseph Ratzinger sembra aver dato l’avvio a uno scambio di messaggi che non va sottovalutato e sarà bene non chiudere questo spiraglio che si è inaspettatamente aperto. Le autorità islamiche sono spesso influenzate dai regimi dei Paesi in cui hanno sede, ma in questo caso sembra che l’esigenza di non interrompere una comunicazione a livello religioso abbia avuto il sopravvento. Il documento, infatti, cerca di risalire all’essenza delle rispettive tradizioni per individuarne gli elementi comuni e tralascia problematiche politiche.

Le citazioni coraniche abbondano, ma non mancano quelle bibliche. Qualcuno si è scandalizzato del fatto che non ci si rivolga anche agli ebrei, ma è comprensibile che non si sia voluto allargare (e complicare) una tema già di per sé delicato e del resto ben contestualizzato dalla ricorrenza e dall’altro colpisce favorevolmente che nelle citazioni bibliche non sia stato omesso pretestuosamente l’incipit che si rivolge esplicitamente a loro: «Ascolta, Israele…» , termine quest’ultimo ancora tabù in molti ambienti.

Persino una lettera di san Paolo, solitamente ritenuto dalla controversistica islamica il «falsificatore» del messaggio evangelico, viene citata in una nota della lettera aperta!

Uno sforzo di avvicinamento, quindi, specie quando si sottolineano i due comandamenti principali che accomunano il messaggio ebraico-cristiano e quello musulmano: amore di Dio e amore per il prossimo. Elementi quali l’assoluto monoteismo, il timore e l’obbedienza dovuti al Creatore – assi portanti della concezione islamica – non vengono dissimulati per compiacenza, ma riletti in una prospettiva universale che tenta di oltrepassare differenti sensibilità e forme diverse di espressione col chiaro intento di far emergere tendenze e preoccupazioni condivise.

L’unico punto debole è forse che si tratta evidentemente di un documento pensato e scritto in funzione dei suoi destinatari, ma sarà anche nostro compito dare ad esso il dovuto rilievo perché pure nel mondo islamico sia conosciuto e valorizzato, specialmente laddove sono presenti minoranze discriminate e varie forme di tensioni se non di conflitti che coinvolgono la sfera etnico-religiosa.

Limitarsi a dire che si poteva fare di più o, peggio, snobbare del tutto queste parole pretendendosi i soli autentici detentori di capacità critiche ed autocritiche significherebbe lasciar cadere un’opportunità che invece consapevolezza e senso di responsabilità indurrebbero a valorizzare, nell’interesse comune.

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