Il mini-bus della guida turistica rallenta per fartele fotografare. Le case disabitate da trent’anni, con il filo spinato davanti. Le chiese ortodosse diroccate. I grandi alberghi un tempo lussuosissimi che oggi cadono a pezzi. «Questo era lo stadio della mia squadra del cuore – indica dal pulmino l’autista-cicerone Sofronios -. Lì invece c’era il catasto. Dove un incendio (guarda caso) ha distrutto tutti i documenti. Così noi greci non potremo più rivendicare le nostre proprietà».
Benvenuti al mini-tour di Famagosta, la città fantasma. Il volto forse oggi più emblematico del paradosso Cipro. L’isola divisa in due, dopo l’occupazione turca della parte settentrionale nel 1974 e la proclamazione nel 1983 della Repubblica di Cipro Nord, Stato riconosciuto solo da Ankara che conta oggi circa 260 mila abitanti. È entro i confini di questo «Stato di fatto» che sorge la maestosa città-bastione dei veneziani nel Mediterraneo. In una zona del Mediterraneo che è un vero e proprio crocevia tra le coste greche, turche e libanesi.
Dopo trent’anni di rigidissima divisione – con i caschi blu dell’Onu di stanza sulla Linea Verde che separa Cipro Nord dalla Repubblica di Cipro a maggioranza greca – da un paio d’anni Famagosta è tornata a essere meta turistica molto gettonata. Niente a che vedere con lo splendore degli anni Sessanta. Però con l’ingresso della Repubblica di Cipro nell’Unione Europea e le trattative per l’allargamento alla Turchia, anche la frontiera tra le due parti dell’isola è diventata meno impermeabile. Così oggi da Agya Napa o da Protaras – gli ex villaggi di pescatori greco-ciprioti subito a sud della Linea Verde, diventati in un baleno negli anni Ottanta grandi centri turistici di richiamo internazionale – ogni giorno le guide partono coi loro gruppi verso Famagosta. Non senza una sosta anche da Anita: abitava in una delle case più vicine al «confine» e ha pensato di trasformare questa circostanza in business. Grazie a un bar e a una terrazza panoramica sui cavalli di frisia; posto ideale per una fotografia in stile reporter di guerra.
Intanto – grazie a queste visite – anche tra i turco-ciprioti qualcosa si muove. Perché i mini-bus portano quegli stranieri che durante il lungo boicottaggio non si erano più visti. E così intorno alla Lala Mustafa Pasha Mosque – l’antica cattedrale di San Nicola trasformata in moschea già nel 1571, come mostra il minareto aggiunto a quella che era una chiesa gotica – oggi fioriscono i negozi con i prezzi in euro accanto alle lire turche.
Dettaglio importante: perché con il primo gennaio 2008 la moneta dell’Unione Europea farà il suo debutto a Cipro. Riportando in primo piano la questione dell’isola divisa. Perché proprio la prospettiva dell’ingresso nell’Ue, avvenuta il primo maggio 2004, aveva portato al tentativo di una soluzione pacifica della controversia tra greco-ciprioti e turco-ciprioti. Rompicapo che in realtà ha accompagnato l’isola fin dalla sua indipendenza dalla Corona britannica, avvenuta nel 1960. Già nel 1963 – infatti – l’equilibrio dei poteri tra la maggioranza di etnia greca e la minoranza turca scritto sulla carta nella Costituzione locale aveva mostrato le prime crepe. E in un crescendo di tensioni si era arrivati al dramma del settembre 1974, con il tentativo di colpo di Stato da parte delle milizie legate alla Grecia dei generali, la risposta turca con l’occupazione militare della parte nord dell’isola (il 37 per cento del territorio). E soprattutto con l’esodo dei profughi: 160 mila greco-ciprioti verso sud, 50 mila turco-ciprioti in direzione opposta. Case abbandonate, chiese distrutte o trasformate in magazzini, persone scomparse di cui non si è più saputo nulla. Il tutto in una situazione poi ulteriormente complicata dalla scelta di Ankara di aprire le porte di Cipro Nord ai coloni dell’Anatolia, che nella maggior parte dei casi si sono insediati proprio nelle case lasciate vuote dai profughi di etnia greca. Stando a quanto denuncia il governo di Nicosia, come numero avrebbero ormai superato i turco-ciprioti. E come accade sempre in tutte le operazioni di questo tipo, tra i coloni sono parecchi i nazionalisti vicini ai Lupi grigi. Un fatto, questo, che ha contribuito a gettare altra benzina sul fuoco.
Come detto, la svolta sembrava essere arrivata con la candidatura della Repubblica di Cipro e della stessa Turchia all’ingresso nell’Ue. In questa prospettiva nel gennaio 2002, con la mediazione dell’allora segretario generale dell’Onu Kofi Annan, si era arrivati a un negoziato diretto tra i presidenti Glafcos Clerides e Rauf Denktafl. Trattativa rivelatasi però burrascosa e conclusasi con il Piano Annan, un arbitrato proposto dal diplomatico ghanese vista l’impossibilità di giungere a un accordo tra le parti. Un documento sottoposto a referendum in tutta l’isola il 24 aprile 2004, cioè una settimana prima dell’ormai già fissato ingresso di Cipro nell’Ue. Il Piano proponeva una soluzione di tipo confederale, con ampie garanzie per l’etnia turca che – pur rappresentando solo il 18 per cento della popolazione – avrebbe ottenuto una rappresentanza paritaria sia nel Senato sia nella Corte Suprema.
Inoltre solo al 20 per cento dei profughi greco-ciprioti sarebbe stato garantito (e in tempi molto lunghi) il diritto al ritorno nelle loro case nella parte settentrionale dell’isola. Con queste premesse non stupisce il risultato della consultazione: il Piano venne approvato a Cipro Nord con un 65 per cento di sì, ma bocciato dei greco ciprioti con un 75 per cento di no. E, siccome il meccanismo del referendum prevedeva che la confederazione sarebbe nata solo con la vittoria del sì in entrambe le comunità, tutto si concluse con un nulla di fatto. Così oggi giuridicamente tutta Cipro fa parte dell’Unione Europea, ma la parte turca è considerata un territorio sotto occupazione straniera in cui non vale il diritto comunitario.
Sospesa rimane anche la questione dei 259 milioni di euro di aiuti economici che la Commissione europea aveva promesso tre anni fa a Cipro Nord a sostegno della pacificazione. In realtà in questa situazione di stallo solo una piccola parte dei soldi (14,5 milioni) è stata effettivamente impegnata. E proprio a quei fondi ha fatto riferimento recentemente l’arcivescovo della Chiesa ortodossa di Cipro Chrysostomos II, che da tempo denuncia lo stato di abbandono e devastazione in cui si trovano le chiese cristiane di Cipro Nord. Su 520 di questi edifici sacri – sostengono all’arcivescovado di Nicosia – 133 chiese, cappelle e monasteri sono stati dissacrati, 78 sono stati convertiti in moschee, 28 utilizzati per fini militari e ospedali, 13 come depositi. Quindicimila icone sarebbero state rimosse illegalmente e si troverebbero sul mercato clandestino dell’arte. «Quello che speriamo – ha dichiarato Chrysostomos II, che nella primavera scorsa a Roma ha parlato del problema anche al Papa e al presidente della Cei Angelo Bagnasco – è che i soldi dell’Unione Europea siano impiegati anche per restaurare le chiese. Almeno quelle che hanno più bisogno: molte, se ancora non sono crollate, stanno per cadere a pezzi». L’arcivescovo ortodosso ha avanzato anche un appello legato al monastero di San Barnaba, la più importante tra le chiese di Cipro Nord: Chrysostomos II ha chiesto che in questo luogo consacrato all’apostolo che evangelizzò insieme a Paolo l’isola, possano tornare almeno a morire i sei monaci ultraottantenni che furono costretti a scappare nel 1974.
Tutti inviti finora rimasti senza risposta. E ora, con il rinvio dei negoziati tra l’Ue e la Turchia, il rischio è che anche dopo la nuova fatidica data del primo gennaio 2008, a occuparsi di Cipro restino solo gli immobiliaristi inglesi. Che – in questdove l’esercito di Sua Maestà ha tuttora diecimila uomini in grandi basi che restano sotto la sovranità britannica – stanno facendo affari d’oro. Basta passeggiare per Agya Napa o Protaras per ritrovarsi tra villette a schiera e pub con la tivù accessa sul cricket o le partite della Premier League. Ma le seconde case inglesi iniziano a sorgere anche oltre la Linea Verde. La società North Cyprus Estate Agents, ad esempio, vende su Internet appartamenti a Famagosta e Kyrenia. Assicurando di avere tutte le carte in regola sui diritti di proprietà. Dal suo mini-bus Sofronios avrebbe certamente qualcosa da eccepire.