Quella di Gaza è «una situazione che si sta deteriorando rapidamente» ma i cristiani «vogliono restare» lì dove sono nati, mentre la frattura degli ultimi sette mesi fra Hamas e Fatah «si è consolidata e non accenna a risolversi» e «i giochi internazionali intorno al conflitto israelo-palestinese sembrano tener viva anziché alleviare questa situazione». Il nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico presso l'Autorità palestinese, mons. Antonio Franco, non ha buone notizie da portare in Vaticano. Ma i membri della piccola comunità cristiana locale sono decisi a restare nella terra in cui sono nati e alla quale appartengono.
Quella di Gaza è «una situazione che si sta deteriorando rapidamente» ma i cristiani «vogliono restare» lì dove sono nati, mentre la frattura degli ultimi sette mesi fra Hamas e Fatah «si è consolidata e non accenna a risolversi» e «i giochi internazionali intorno al conflitto israelo-palestinese sembrano tener viva anziché alleviare questa situazione». Il nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico presso l’Autorità palestinese, mons. Antonio Franco, non ha buone notizie da portare in Vaticano, dove la Riunione aiuto opere Chiese orientali (Roaco) l’ha invitato a parlare nell’incontro semestrale della situazione dei cristiani di Terra Santa e delle necessità dell’università di Betlemme, l’unico ateneo cattolico fra le undici università palestinesi.
Eccellenza, qual è la situazione sul campo?
C’è una crisi in corso e attualmente anche un rapido deterioramento a Gaza, dove c’è il solito gioco di azione e reazione: sappiamo che la popolazione è esasperata ma certo non so quale effetto possa avere questo lancio di missili verso Sderot, viste le risposte israeliane che colpiscono genericamente l’intera popolazione… Ora hanno aperto un canale umanitario ma tutto rimane molto ristretto, sotto stretto controllo: il rubinetto si apre con il contagocce, manca l’energia elettrica persino negli ospedali, mancano i beni di prima necessità…. È una situazione molto seria dal punto di vista umanitario che certamente non contribuisce a migliorare il clima generale. Anche in Cisgiordania avvengono sporadicamente delle rappresaglie ma nell’insieme c’è una maggiore calma. Purtroppo la frattura politica palestinese è avvenuta, si è consolidata e non pare che sia destinata a terminare a breve termine.
La Santa Sede ha intensificato i contatti con i Paesi arabi per riunire il fronte palestinese. Che tipo di riscontro avete dai Paesi limitrofi?
Certamente c’è un interesse continuo per un’evoluzione positiva di questa situazione. Ma una cosa è un intervento e un’altra sono i risultati: purtroppo ci sentiamo a volte impotenti, perché sembra che chi dovrebbe esercitare un’azione più diretta, incisiva e risolutiva in realtà non operi nella direzione che uno si attenderebbe. Ma questi sono i giochi della politica internazionale che a volte è difficile comprendere. La situazione rimane quella che è: una crisi grave con la minaccia di ulteriori degenerazioni.
Qual è la situazione dei cristiani di Gaza?
Siamo in contatto costante sia con il parroco padre Manuel Musallam che con le tre comunità religiose che ci sono lì; i cattolici sono qualche centinaio rispetto alla piccola comunità cristiana di circa tremila persone. C’è stato il gravissimo episodio mesi fa dell’omicidio del libraio cristiano, ucciso perché cristiano, e questo ha fatto nascere un clima di paura, di insicurezza. Per quanto il nostro padre Manuel sia molto ben introdotto sia nel gruppo di Hamas che in quello di Fatah, per quanto sia rispettato e possa parlare a tutti, certo si ha paura dell’imprevisto, di aggressioni da parte di gruppi di estremisti, anche ideologizzati e che possono creare problemi. Il patriarca latino Michel Sabbah è andato a Gaza la terza domenica di Avvento. Io spero di andare a febbraio, e siamo in contatto continuo con la comunità. La presenza rimane, si vuole rimanere lì, e il patriarca ha detto molto fermamente: noi siamo di qui, siamo nati qui e rimaniamo qui a Gaza.