È l'inesorabile legge del pendolo in Medio Oriente. Dopo i grandi discorsi intorno al viaggio di George W. Bush, lunedì si riuniscono per la prima volta le delegazioni israeliana e palestinese per discutere dei famosi nodi eternamente aperti del conflitto (confini, profughi, Gerusalemme, eccetera). E che succede martedì? Puntuale arriva l'incursione israeliana a Gaza, rinviata la scorsa settimana per evitare di guastare la festa a Bush. E tra Gaza e Sderot diventa la giornata più insanguinata degli ultimi mesi.
È l’inesorabile legge del pendolo in Medio Oriente. Dopo i grandi discorsi intorno al viaggio di George W. Bush, lunedì si riuniscono per la prima volta le delegazioni israeliana e palestinese per discutere dei famosi nodi eternamente aperti del conflitto (confini, profughi, Gerusalemme, eccetera). E che succede martedì? Puntuale arriva l’incursione israeliana a Gaza, rinviata la scorsa settimana per evitare di guastare la festa a Bush. E tra Gaza e Sderot diventa la giornata più insanguinata degli ultimi mesi. Diciannove palestinesi uccisi e cinquanta feriti dai soldati israeliani, un lavoratore ecuadoregno di un kibbutz colpito a morte da un cecchino palestinese, quattro israeliani feriti da un Qassam a Sderot.
Mai incursione israeliana a Gaza fu più annunciata di questa. E mai fu più inutile. Lo spiegava molto bene – su Yedioth Ahronot, prima ancora che iniziasse l’operazione – Eitan Habel, cioè l’ex braccio destro di Yitzhak Rabin. Nell’articolo elenca le ragioni a favore e quelle contro a una rioccupazione militare di Gaza. Per arrivare all’unica conclusione possibile: occupare di nuovo la Striscia sarebbe efficace quanto la guerra del 2006 in Libano. Che ha lasciato Hezbollah più forte di prima.
Però per Israele è inconcepibile non reagire. E allora ecco il raid di ieri. Che rischia di avere effetti disastrosi. Per capirlo basta leggere i commenti del governo Fayyad, quello «amico», quello che Olmert descrive come il partner affidabile. Ieri descriveva quanto accaduto a Gaza una «carneficina». Non è il viatico migliore per una trattativa sullo «status finale» che già si sapeva lunga e complessa.
La verità è che oggi non funziona più la massima di Rabin secondo cui bisogna combattere il terrorismo come se non ci fosse una trattativa di pace e portare avanti le trattative di pace come se non ci fosse terrorismo. Poteva valere, forse, fino al giugno 2007. Ma da quando chi governa a Ramallah è diverso da chi ha in mano Gaza, servirebbe qualche ragionamento un po’ più complesso. Perché ogni raid su Hamas a Gaza è un colpo alla credibilità di Abu Mazen. Già non eccelsa nella piazza palestinese.
I Qassam da Sderot sono un problema serio. Non bisogna dimenticare i quattordici morti israeliani che hanno già prodotto. E l’ombra di paura inaccettabile che provocano sulla vita degli abitanti di questa città. Ma l’esperienza lo dimostra: sette anni di raid non sono serviti a nulla. Solo un processo di pace serio, con percorsi e obiettivi chiari, può depotenziare questa minaccia.
È a Ramallah che si vince la battaglia di Gaza. Israele non può illudersi di trattare con Abu Mazen e contemporaneamente combattere nella Striscia. È una strada che non può funzionare. Su questo – se davvero ha intenzione di fare sul serio – sarebbe ora che Washington cominciasse a farsi sentire.
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