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Striscia di Gaza. La salute non è un diritto

28/12/2007  |  Milano
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Striscia di Gaza. La salute non è un diritto
Reticolato al valico di Erez, tra la Striscia di Gaza e Israele.

«Intollerabile». È secco il commento dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sull'isolamento nel quale è posta la Striscia di Gaza. Un isolamento che non solo limita gli spostamenti della popolazione e ne pregiudica le possibilità lavorative, ma che ha anche conseguenze drammatiche sull'accesso degli stessi residenti a trattamenti sanitari adeguati. C'è di più. C'è l'accusa alle forze di sicurezza israeliane di condizionare l'accesso alle cure a forme di «collaborazione» con le stesse autorità israeliane.


«Intollerabile». È secco il commento dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sull’isolamento nel quale è posta la Striscia di Gaza. Un isolamento che non solo limita gli spostamenti della popolazione e ne pregiudica le possibilità lavorative, ma che ha anche conseguenze drammatiche sull’accesso degli stessi residenti a trattamenti sanitari adeguati. C’è di più. C’è l’accusa alle forze di sicurezza israeliane di condizionare l’accesso alle cure a forme di «collaborazione» con le stesse autorità israeliane. La denuncia è di Hadas Ziv, responsabile dell’organizzazione Medici per i diritti umani-Israele, che ha sottolineato di aver raccolto numerose testimonianze di palestinesi sottoposti a questo tipo di ricatto.

Come Bassam al Wahidi, giornalista ventottenne di Rafah. I medici gli hanno diagnosticato già diversi mesi fa seri problemi agli occhi, che se non curati in un ospedale adeguatamente attrezzato a Gerusalemme Est potrebbero causargli la perdita della vista. Di qui la decisione di Bassam di recarsi, una volta ottenuto un regolare permesso, al valico di Erez. Dove, però, il suo viaggio della speranza si trasforma in un incubo. Dopo tre ore di attesa viene posto sotto interrogatorio. «All’inizio mi hanno fatto domande su di me e sulla mia famiglia – racconta -. Poi gli agenti hanno cominciato a chiedere informazioni sui gruppi armati, sostenendo che in quanto giornalista avrei dovuto sapere qualcosa sulle loro attività».
Infine arriva la proposta di «collaborare» nell’individuazione dei miliziani che continuano i loro attacchi contro il Sud di Israele. In cambio, assicurano le forze di sicurezza israeliane, Bassam potrebbe ottenere l’accesso ai trattamenti medici di cui ha bisogno. «Ho replicato che l’accesso alle cure è un mio diritto, ma loro mi hanno risposto: "Questo tipo di linguaggio con noi non funziona"». Da allora il giovane giornalista ha provato più volte a ottenere un permesso per raggiungere Gerusalemme Est, ma la sua domanda è sempre stata respinta. Ha già perso la vista da un occhio, e se non gli sarà concesso il prima possibile l’accesso alle cure rischia di restare completamente cieco.

Sono tante a Gaza le storie simili a quella di Bassam, ha spiegato il responsabile di Medici per i diritti umani-Israele. Le condizioni di molti palestinesi sono talmente drammatiche che la stessa Croce Rossa Internazionale di Gerusalemme ha dovuto intervenire per sottolineare che Israele è tenuta a facilitare l’accesso alle cure per la popolazione di Gaza. E devono essere gli stessi medici, ha osservato Ambrogio Manenti, responsabile dell’Oms nella Striscia e in Cisgiordania, a denunciare la situazione attuale, che rischia di avere un drammatico impatto sulla salute dei residenti.

Le forze di sicurezza israeliane respingono le accuse e sostengono che dietro ai loro rifiuti di accogliere domande relative a cure al di fuori della Striscia restano «problemi di sicurezza». Eppure, sottolinea Hadas Ziv, anche coloro che rappresentano un «rischio alla sicurezza» hanno diritto a terapie adeguate. Si potrebbe, ad esempio, trasportare i pazienti da Gaza fino in Giordania a bordo di autobus dello stesso esercito israeliano. Sarebbe la soluzione ideale per Ahmed, ventuno anni appena e un cancro allo stomaco che gli provoca emorragie interne sempre più pericolose. Il primo rifiuto per lui arriva al valico di Erez a ottobre. Il secondo a novembre, dopo un interrogatorio durato oltre un’ora con domande sul campo profughi dal quale il giovane proviene. Anche Ahmed, col suo cancro che gli divora lo stomaco, è un rischio per Israele. Anche per lui nessun permesso di transito.

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